La mancata ratifica da parte della Commissione di vigilanza del presidente della Rai è l’inevitabile conseguenza di una procedura che non ha tenuto conto della funzione di garanzia e di contropotere attribuita al presidente dalla legge di riforma del 2015.
Non si tratta di una mera questione procedurale o di galateo istituzionale. Venendo a mancare una presenza significativa dell’opposizione parlamentare nella governance del servizio pubblico, viene meno il fondamento che ne legittima l’esistenza stessa: il pluralismo, in tutte le sue declinazioni.
La via maestra per uscire da questo stallo è il rispetto della legge che, non a caso, indica, come ultima istanza della procedura di nomina, la maggioranza dei 2/3 della Commissione (quindi del Parlamento). Questo vuol dire dar vita a una procedura di designazione concordata con tutte le opposizioni. Se questo percorso dovesse apparire politicamente troppo “oneroso”, allora, l’iniziativapasserebbe nelle mani del CdA cui non resterebbe altra soluzione che nominare l’unico consigliere “ontologicamente” indipendente, quello indicato da una larga maggioranza dei dipendenti della Rai e che, per la stima di cui gode, certamente sarebbe ben accolto anche da quelli che non l’hanno votato: Riccardo Laganà. Hic Rhodus, hic salta!