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Centrafrica, giornalista russo ucciso con la sua troupe. Situazione nel Paese sempre più grave

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Nella Repubblica Centrafricana il giornalismo paga l’ennesimo grave tributo sull’altare dell’informazione dai contesti di guerra e di crisi sempre più a rischio per chi vuole raccontarli oltre che per le vittime coinvolte. Ieri tre reporter occidentali sono stati uccisi nel Paese dove la situazione si aggrava di giorno in giorno.

Il nome più conosciuto quello del giornalista investigativo Orkhan Dzhemal, che viaggiava insieme al regista Aleksandr Rastorguyev e al cameraman Kirill Radchenko con i quali stava realizzando un documentario sulla compagnia militare privata russa Wagner, la stessa impegnata con propri contractors anche in Siria.

Un gruppo di assalitori non identificati ha teso loro un’imboscata esplodendo colpi verso il veicolo su cui viaggiavano. Secondo Henri Dépélé, sindaco della località di Sibut, a circa 200 km a nord-est della capitale Bangui, i tre colleghi, due russi e uno ucraino, sono stati assassinati intorno alle 22 locali da uomini armati nascosti nella vegetazione lungo la strada. A rinvenire i corpi a 23 km da Sibut alcuni soldati dell’esercito regolare centrafricano.

La sempre più drammatica crisi che sta vivendo il Centrafrica espone sia operatori dell’informazione che cooperanti e missionari a rischi continui. È ormai un lontano ricordo il clima di speranza e di aspettative ottimistiche della visita di Papa Francesco che aveva voluto aprire a Bangui l’anno del Giubileo.
Il pontefice per la prima volta nella storia della Chiesa aveva aperto la porta Santa del Giubileo in Africa lanciando un chiaro messaggio alle periferie geografiche ed esistenziali del mondo.
La Repubblica Centroafricana, per anni al centro di sconvolgimenti politici e di guerre civili, è in una situazione di instabilità nonostante il tentativo di avviare un processo democratico dell’attuale governo, guidato dal presidente Faustin-Archange Touadéra, che non è riuscito a garantire una pacificazione duratura. Il Paese, tra i più poveri della terra, vive inoltre una grave emergenza alimentare che richiederebbe un urgente azione internazionale.

A poco più di un anno dalla conferenza dei donatori a Bruxelles, la comunità internazionale sembra non essere riuscita a mobilitarsi affinché gli aiuti arrivassero tempestivamente. La promessa di finanziare con 2.2 miliardi di dollari in tre anni il Piano per la ricostruzione e il consolidamento della pace in Africa Centrale (Rebuilding and Consolidation of Peace in Central Africa – RCPCA) è stata solo in parte mantenuta. Non tutti i fondi garantiti sono arrivati e l’implementazione dei meccanismi di coordinamento del piano è ancora in ritardo.

Altro elemento di instabilità è la mancanza di sicurezza. Minacce e aggressioni agli operatori umanitari, rapine e saccheggi hanno portato alcune organizzazioni a sospendere temporaneamente la loro attività.

Nel 2017, secondo l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), sono stati 574 gli incidenti di sicurezza con un impatto negativo per le attività umanitarie; 137 sono quelli che hanno coinvolto direttamente gli operatori umanitari, e almeno 5 di loro sono morti durante la loro missione in Repubblica Centrafricana, che così detiene il triste primato di Paese con il maggior numero di incidenti di sicurezza che coinvolgono attori umanitari.

Questi elementi dimostrano quanto grave sia l’emergenza umanitaria e se si vuole impedire che la situazione diventi irreversibile, la comunità internazionale deve rafforzare la sua mobilitazione al fine di consentire agli attori umanitari di rispondere alle esigenze della popolazione, di recupero e di sviluppo di tutta l’Africa centrale. È dunque di vitale importanza che la comunità internazionale onori le promesse fatte al popolo della Repubblica Centrafricana e che gli aiuti si concretizzino il prima possibile.


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