E’ strano, ma nel terzo millennio postmoderno, ipersecolarizzato, la questione di dove stia Dio, con chi stia, è la questione dell’oggi. Grazie Chi disse “Dio è con noi” sembra figlio dell’oggi, affamato di una religione che sacralizza il potere politico, che già Sant’Agostino stroncava di netto, separando il Regno di Dio e quello terrestre. Ma questa visione si diffonde e l’Italia non è stata estranea a questa problematica, lo sappiamo dal tempo del famoso “Dio, patria, famiglia”.
Dopo gli orrori della seconda guerra mondiale la scelta del Concilio Vaticano II ci ha liberato da un approccio identitario, o per meglio identitarista, costruito contro l’altro, e il recente anniversario del manifesto della razza dovrebbe aiutarci a capire in che senso e come. Per fortuna il cattolicesimo era tornato compiutamente cattolico, cioè universale, sembrava impossibile pensare Dio su una bandiera, su un gagliardetto. Dio unisce. Negli anni recenti, in particolare grazie a Francesco, la pastorale di Roma si è fatta sempre apostolica, cioè rivolta a tutti, non riservata agli adepti. La Chiesa in uscita di Francesco è quindi la Chiesa di Betlemme, cioè la Chiesa di quel Dio nato povero tra i pastori, non nei palazzi, tra arazzi e signori. E’ la teologia conciliare che ha reso la povertà un valore, proprio come è in Francesco, perché è nei poveri la carne di Cristo, è nel sangue degli offesi, dei dimenticati, delle vittime, il sangue del Dio uomo crocifisso.
Quando in tempi recenti è esplosa nel Mediterraneo la questione araba, essersi dimenticati di questo, aver chiuso gli occhi davanti a sistemi che governavano e governano nel nome del potere della morte per sopraffazione e umiliazione, ha facilitato il rafforzarsi di un terrorismo che ha islamizzato il radicalismo: odii nei confronti dell’Occidente silente su questi metodi e poco incline a integrare chi ne fuggiva, dalle periferie di Parigi o dalle campagne violate dell’Iraq, sono facilmente confluiti dietro le bandiere dell’Isis, nel nome di una violenza che si voleva più violenta e feroce di quella che si riteneva di aver subito o di subire. Così per alcuni arrabbiati e nichilisti il kit prefabbricato del terrorismo islamico è divenuto il solo pronto all’uso.
Questa ventata di sanguinaria follia ha riportato in auge qui da noi una visione della religione e della fede come un un’identità guerriera contro questo nemico, al quale sono stati associati tutti i migranti, anche se cristiani, perché “stranieri”. Anche in questo caso capire la reazione, rabbiosa o impaurita, è importante, ma non la giustifica. La spiega. Questa reazione c’è e alimenta un cristianesimo-contro, impaurito e quindi spaventoso. Questo cristianesimo, o cattolicesimo, torna ad essere una religione civile, e la sottomissione del potere spirituale è la priorità del potere politico che lo usa. Non essendoci più imperatori, non essendoci più il Sacro Romano Impero, il potere spirituale sottomesso al potere politico diventa nazionalista, portatore del primato della Patria, protetta da un Dio guerriero nel nome del quale combattere l’Altro con il primato della propria nazione, come sempre portatrice si valori universali.
Il Gesù Cristo che noi conosciamo da Pio XI, il che definì la Prima Guerra Mondiale l’inutile strage, il Gesù Cristo che noi conosciamo dai tempi di Giovanni XXIII, che chiese ai genitori di portare a casa la carezza del papa, non la disciplina e la divisa papali, il Gesù Cristo che noi conosciamo dai tempi di Benedetto XVI, che ha scritto l’enciclica “Dio è amore”, è il Gesù Cristo di cui parla quotidianamente Francesco, il papa della misericordia, della Chiesa ospedale da campo. Chi si aspetta che le tende dell’ospedale da campo si trasformino in struttura ospedaliera consolidata, cementificata, non ha capito che la Chiesa in uscita, la Chiesa che con lo sguardo Magellano guarda il mondo dalle sue periferie, la Chiesa che va nei crocevia della storia, cesserebbe di essere Chiesa se cessasse di essere ospedale da campo. Ecco perché la polemica sul crocifisso è la polemica dell’oggi e purtroptpo sarà la polemica di domani. Un Cristo che ci “identifica contro” sarebbe un Cristo che esclude. Questo Cristo che noi conosciamo invece è cittadino del mondo, e vede negli uomini dei fratelli nell’umanità.
Ma la crisi economica, le guerre, i predicatori dell’odio hanno trasformato la fuga della disperazione, dalla morte, della persecuzione, invece che in una richiesta d’aiuto in un’invasione. Sentendoci estranei alla realtà di guerra e di sterminio che ci circonda finiamo però col diventarne complici, forse perché ne abbiamo paura. Ma quel mondo, quello che ci circonda, è il mondo in vero di oggi, anche il nostro, quello in cui viviamo. Così scegliere la via sovranista, brandendo il crocifisso come altri hanno brandito il rosario per farne un filo spinato capace simbolicamente di chiudere i confini di uno stato, significherebbe capovolgere Cristo e sostenere chi vuole fare dell’Islam un sinonimo di odio e vendetta. Basta guardare la cartina del mondo per capire quanto “vendetta” possa diventare in quelle terre una parola cruciale, se non stiamo attenti. Così si arriva a capire che ai predicatori dell’odio e della vendetta il vero colpo di grazia politico, culturale, spirituale, lo dà la misericordia di Francesco, il solo antidoto alla cultura dell’odio capace di tagliare l’erba sotto i ponti ai nemici dell’umanità plurale, del vivere insieme. Non serve essere credenti, né cattolici, per capire la portata epocale, universale di questo confronto che ormai investe anche il nostro paese, pensandolo addirittura come laboratorio di una sottomissione dell’autorità spirituale al potere. A Roma per fortuna c’è però la guida morale dell’umanità oltre che il primo esponente della cattolicità. Ascoltarlo ci aiuterebbe a capire cosa fare, già nelle prossime ore.