“Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno”. Il 19 luglio del 1992, alle ore 16:58, una Fiat 126 imbottita di esplosivo viene fatta esplodere, tramite telecomando a distanza, in Via Mariano D’Amelio 21. Nell’attentato persero la vita il magistrato Paolo Borsellino, gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico agente sopravvissuto all’attentato è Antonio Vullo, rimasto nell’auto di guida perché stava facendo manovra e si trovava alla testa del corteo. Sono trascorsi ventisei anni da quel terribile giorno: nessun palermitano ha dimenticato l’incessante rumore delle sirene che rimbombavano dal centro alle periferie; macchine bruciate, vetri frantumati a causa della violenta deflagrazione e un’enorme nube nera che si alzava in cielo per avvolgere Palermo di detriti e dolore.
Un’estate interrotta bruscamente dalle lacrime amare per una speranza interrotta, perduta. “La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità” diceva Paolo Borsellino. Da ventisei anni, però, sembra che la verità su quanto accaduto in Via D’Amelio e Capaci, sia mera utopia. Inchieste, sentenza, hanno certamente portato alla luce una verità processuale, lasciando però grosse zone d’ombra che attendono una risposta da tanti, troppi anni. I figli di Borsellino, oggi, chiedono verità e giustizia in merito a quanto realmente accaduto quel pomeriggio di luglio 92. Con parole incisive sollecitano le istituzioni a far chiarezza sui veri responsabili di quello che viene definito il più grande depistaggio della storia d’Italia. Ancora oggi ci si chiede: chi ha voluto la morte di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone? Perché?