Per una tv pubblica senza pubblicità, aperta radicalmente al sociale, al terzo settore, alla società civile, alle minoranze di ogni tipo, strumento di alfabetizzazione digitale critica, ricerca e sperimentazione, culturale e sociale, agente provocatore per una cultura non conformista.
Elezione di quattro componenti del Cda Rai
da parte della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Mercoledì 18 luglio 2018
Ho ritenuto di redigere questo appunto perché qualche amico ed estimatore mi ha domandato… “perché?”, conoscendo le mie tante perplessità sul “buon governo” della cultura e dei media in Italia… E la domanda merita una risposta, per correttezza e cortesia.
Credo che la Rai vada riformata radicalmente.
Tre le esigenze urgenti ed essenziali:
- anzitutto, una priorità assoluta: le si deve togliere completamente la pubblicità, perché un “servizio pubblico radiotelevisivo” deve essere totalmente indipendente dagli interessi degli investitori commerciali e dalle logiche commerciali (per quelle basta, e avanza, il mercato);
- la si deve aprire in profondità alla società, intesa come società civile, terzo settore, associazioni che rappresentano la parte più viva, autentica, vivace del nostro Paese, con un coinvolgimento attivo e continuo di queste soggettività;
- deve proporre una visione del mondo che sia plurale, diversa, anticonformista, altra rispetto a quel che propongono – anche come “agenda setting” – i media commerciali, da Mediaset a Sky a La7; deve dare voce alle infinite creatività e minoranze che rappresentano una grande ricchezza del nostro Paese.
Indipendenza dal mercato; sensibilità sociale; pluralismo (espressivo, informativo, artistico); ricerca e creatività.
Una Rai che consideri la cultura elemento centrale della propria funzione. Chi mi conosce, lo sa. Chi non mi conosce, è opportuno lo sappia. Da decenni ormai, studio in profondità la televisione pubblica, come ricercatore e consulente. Da decenni, teorizzo queste tesi.
Chi sono?!
Ho 58 anni, una laurea in economia e commercio a pieni voti alla Luiss di Roma (ma con una tesi sul marketing internazionale delle telenovelas…), ho vinto il concorso per accedere al biennio di specializzazione del Centro Sperimentale di Cinematografia (dapprima ammesso, e poi escluso per prevalenti raccomandazioni verso altri candidati, e quindi riammesso dopo un ricorso interno), poi quattro anni come Direttore dell’Ufficio Studi dell’Anica (l’associazione dei produttori cinematografici e audiovisivi), tre anni nel Cda di Cinecittà, e da allora sostanzialmente consulente “free lance”… per istituzioni, gruppi mediali, politici di professione (in veste di tecnico indipendente, per qualche ministro e sottosegretario e assessore, sempre in ambito cultura e media – più nella Prima Repubblica che nella pseudo-Seconda, e non me ne vergogno).
Nel 1992, ho cofondato un centro di ricerca indipendente: IsICult, acronimo che sta per Istituto italiano per l’Industria Culturale. Non abbiamo raggiunto la notorietà di un Censis, ma siamo discretamente apprezzati dalle comunità intellettuali e professionali cui ci rivolgiamo.
Sono divenuto piuttosto noto, negli ambienti del cinema, della televisione, dei media, come ricercatore… eccentrico, lontano anni-luce dal consulente portatore d’acqua: non a caso, sul quotidiano online “Key4biz” (dedicato alla digital economy ed alla cultura del futuro) curo una rubrica intitolata “ilprincipenudo”.
Ho sempre avuto una posizione critica rispetto al sistema culturale e mediale italiano, auspicando anzitutto assoluta trasparenza, efficienza, efficacia nella gestione dei fondi pubblici, e poi criteri tecnocraticinell’assegnazione delle risorse. Ho sostenuto e sostengo che la mano pubblica deve intervenire laddove il mercato fallisce, e deve stimolare pluralismo e diversità.
Il motto di una delle “inascoltate” lezioni di Einaudi resta per me fondamentale: “conoscere per deliberare”. Purtroppo, nella mia personale esperienza, raramente ho incontrato politici e dirigenti della pubblica amministrazione che condividessero questo approccio. L’Italia resta il Paese nel quale si governa per lo più nasometricamente, la valutazione di impatto è un inutile orpello, ed il “capitale relazionale” prevale spesso su qualità e merito. Questa degenerazione va combattuta.
Ho pubblicato cinque o sei libri sulla politica e l’economia dei media, ho scritto centinaia e centinaia di articoli, ma – come mi capita ogni tanto di sostenere – è come se, “da sempre”, io ri-scrivessi lo stesso articolo: il sistema culturale deve stimolare l’estensione dell’offerta, artistica e informativa, la mano pubblica deve provocare energie controcorrente, e non assecondare il mercato.
Innovazione e non conservazione.
Sperimentazione e non riproduzione dell’esistente.
Coraggio e non cheto vivere.
E totale trasparenza gestionale.
Bastano, 1.000 parole (questa è la lunghezza di questo testo), per spiegare “perché” mi
sono candidato al cda Rai?
Perché ho la presunzione di avere le capacità tecniche e professionali nonché l’indipendenza ideologica per stimolare un radicale cambio di rotta della televisione pubblica italiana. Ho diretto decine di studi, ricerche, consulenze per Viale Mazzini, e quindi la conosco abbastanza bene, anche se non sono mai stato “interno” (né come dipendente, né come logiche infra-aziendali). Posso vantare discrete esperienze in ambito manageriale, giornalistico, accademico. Non sono mai stato iscritto ad un partito politico (se non, poco più che adolescente, al lontano Partito Radicale). Mi vanto di essere “super partes”, anzi “no partisan” e la mia attività professionale lo dimostra.
Mi candido – a livello quasi più… ludico che provocatorio – nella coscienza che la procedura per la selezione dei candidati si pone come una ennesima buffonata: di grazia, non può essere sufficiente inviare un curriculum!
I Presidenti di Camera e Senato avrebbero dovuto promuovere una procedura comparativa, pubblica e trasparente.
Una serie di audizioni dei candidati, o, anche soltanto un formulario ove spiegare (in 1.000 parole o anche soltanto 100) “quale” Rai si vorrebbe.
O, ancora (come è stato proposto su “Key4biz” da alcuni colleghi candidati), proporre un questionario conoscitivo… Fico e Casellati avevano la strumentazione per fare quel che a suo tempo non vollero fare i loro predecessori Fini e Schifani: nel 2012, infatti – nessuno quasi se ne ricorda, ma così avvenne – fu data la possibilità di inviare alla Commissione di Vigilanza Rai (allora presieduta da Zavoli) la propria autocandidatura, e 320 cittadini l’inoltrarono. Ci fu trasparenza? No. Ci fu valutazione comparativa? No. Ci fu selezione tecnocratica? No. Sulle colonne del mensile specializzato “Millecanali” scrissi che s’era trattato dell’ennesima sceneggiata tipicamente italiana: un editoriale del luglio/agosto 2012 era intitolato “La grande farsa: le nomine Agcom e Rai”.
La farsa si ripropone, questa volta con 236 candidati, tra Camera e Senato. Nel 2018, grazie alla zoppicante legge renziana “di riforma” della Rai (che non ho mai condiviso), ancora una volta, si predica bene e si razzola male. Una trasparenza a metà. Una tecnocrazia zoppa. Una dinamica partitocratica in versione “social media”.
Vedremo con quali risultati. Francamente, temo il peggio. Qualcuno ha addirittura evocato, in questi tempi cupi, la procedura del “sorteggio” (per il Cda Rai… così come per il Parlamento): sarebbe la prova del disastro culturale e politico cui corriamo il rischio di arrivare, in una sorta di suicidio digitale della democrazia…
Grazie per l’attenzione.
Angelo Zaccone Teodosi ( presidente IsICult )
a.zaccone@isicult.it / www.isicult.it
Post scriptum
Ti segnalo l’archivio storico dei miei articoli nella rubrica “ilprincipenudo”, su “Key4biz”, quotidiano online sulla digital economy e la cultura del futuro: sfogliandoli, puoi acquisire un’idea chiara delle mie idee eterodosse sul sistema culturale e mediale italiano.
Consentimi anche di osservare che nessuno ha pensato, nelle settimane scorse, di promuovere un pubblico incontro / confronto con i candidati al Cda (anche questo può apparire… incredibile, ma è… vero!): non le istituzioni, non i partiti, non la società civile…. Unica eccezione, ieri (lunedì 16 luglio), tre onorevoli associazioni, che hanno invitato tutti i candidati (“interni” e “esterni” alla Rai): l’Associazione dei Dirigenti Pensionati Rai (AdpRai), l’Unione Stampa Cattolica Italiana (Ucsi), ed il “think tank” InfoCivica. Hanno partecipato all’incontro, a pochi metri dal Palazzo, una quindicina di candidati. È stata un’occasione stimolante di confronto. Puoi trovare un resoconto dettagliato nel mio articolo su “Key4biz” di oggi.