Una nuova vita, da Toronto con amore

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di Kristina Madonia

A Corleone, a casa nostra ci sono arrivata con mio marito e il mio bimbo nel 2010 lasciandomi alle spalle i miei genitori, i parenti, la mia professione di insegnante di scuola secondaria e la cosmopolita città di Toronto, Canada. Insomma, ho fatto un gigantesco balzo dentro ad una nuova vita.
Avevamo scelto Corleone perché la famiglia di mio marito abitava qui e io, da inguaribile romantica, nutrivo speranze di vita semplice in un posto in cui mandare avanti una famiglia fosse meno costoso e assieme alla quale avrei potuto trascorrere più tempo. Immaginavo il clima caldo, il mare vicino, fiori colorati che venivano giù dai balconi in un’atmosfera di caloroso benvenuto familiare e culturale.
Credevamo che uno stipendio fosse abbastanza per farcela qui, mentre era impensabile a Toronto. E così è stato. Mio marito ha iniziato a lavorare in una scuola di lingue a Palermo ed io mi sono ritrovata sola per la maggior parte del giorno ma libera di crescere mio figlio come meglio credevo e di conoscere l’apparente semplicità della quotidiana realtà sociale corleonese.
Ho pensato da sempre che tutti gli italiani del sud fossero accoglienti, calorosi ed amichevoli. Immaginavo già gli inviti a cena nelle case degli altri, pensavo di fare amicizia senza nemmeno accorgermene, di diventare, insomma, parte integrante del tessuto sociale di Corleone. eppure quando siamo arrivati, nonostante l’accoglienza in strada dei vicini e i saluti sempre più convinti dei conoscenti per strada, non era per nulla come me lo ero immaginato. Arrivai perfino a sentirmi sola!
Ho cominciato a sentirmi un po’ più integrata da quando ho accettato un piccolo part-time estivo al CIDMA dove una ragazza che già ci lavorava mi ha parlato dei meccanismi interni alla storia del paese, facendomi venire voglia di indagare tutti i sordidi dettagli del legame che intercorre fra Corleone e la Mafia Siciliana. Di quel periodo, non dimenticherò mai gli sguardi che mi riservavano gli uomini davanti al bar vicino, quando i primi giorni mi muovevo in bicicletta per andare a lavoro; potevo proprio sentirli chiedere  “ma cu è chissa?” (ma chi è questa?). Smisero di fissarmi quando riuscirono a sapere chi io fossi e allora, cominciai quasi a sentirmi come se io appartenessi a quel luogo
Allo stesso tempo ho cominciato a conoscere tutta una serie di intricate reti di regole non scritte che qui sostengono ogni tipo di relazione sociale. La mia spontaneità e l’essere informale con gli altri non potevano fare tanta strada: “qua non si usa” cominciò a risuonare come un ritornello nella mia testa.
Per esempio, ogni volta che cercavo di invitare qualcuno per un tè informale ricevevo in risposta solo educati ma imbarazzati rifiuti. Un’altra volta, un uomo che non conoscevo entrò al Cidma e mi chiese chi fossi, io risposi col mio nome; quello non era soddisfatto e allora mi chiese a chi appartenessi (in siciliano si dice proprio così) il che rese furiosa la femminista che è in me, visto che ciò che voleva sapere era il cognome degli uomini della mia famiglia! Saremmo diventati amici e sua figlia sarebbe stata una delle mie prime studentesse. Grazie ad episodi come questo, cominciai a capire che l’unità “famiglia” non è, almeno non sempre, una categoria riduttiva per le donne, ma è di gran lunga la più importante qui – il modo in cui la gente si fa un’idea di te, in cui ti colloca dentro al suo mondo.
A proposito di donne, mi sono resa conto che quella della mia età non si vedono da nessuna parte – non le incontro camminare per strada, né al parco, né nei bar o in piazza. In paese non c’è un posto pensato per una clientela femminile e, a dire il vero, non credo che se ci fosse le donne ci si fionderebbero per uscire con le amiche!
La maggior parte di loro si incontra di fronte a scuola, dopo aver lasciato o prima di riprendere i propri figli, a messa, nei negozi a far la spesa o ad attività programmate come palestra o lezioni di ballo. E sì, ANCHE al parco giochi con i bambini, ma SOLO di pomeriggio e SOLO quando cominciano le belle giornate, che equivale a giornate non troppo fredde e senza “venticello” che se no i bimbi si prendono il colpo di freddo, né troppo calde perché se no poi, ovviamente, i bimbi sudano.
Da allora ho conosciuto la maggior parte degli amici miei correndo o grazie al locale circolo di Legambiente. Come in ogni altro posto, anche qui ci sono quelli che non sono esattamente come tutti gli altri, ed è in mezzo a loro che io ho sempre trovato la mia posizione ideale.
Sono più di otto anni che vivo qui, continuo ad avere la mia razione di sorprese quotidiane, il che è sorprendente, considerato che da fuori le dinamiche di un piccolo paese possono sembrare così semplici. E invece un paese ha sempre tutti i colori che ognuno dei suoi abitanti porta in dote e, a modo mio, adesso  questo vestito lo coloro un po’ anch’io.

Da mafie


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