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Colpi di pistola contro la casa di Ario Gervasutti. Un attacco a tutti i giornalisti

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Un attacco a tutti i giornalisti. Un attacco alla libertà di stampa. Un attacco all’autonomia dell’informazione. Un attacco alla convivenza civile. Inaccettabile. I cinque colpi di pistola esplosi contro l’abitazione padovana del collega Ario Gervasutti riportano indietro l’orologio della cronaca agli Anni di piombo, a quei Settanta che pensavamo fossero per sempre archiviati come “storia”. Invece no. In una notte di quasi estate, appena terminato l’ennesimo temporale di questa strana stagione atmosferica, all’1.45 fra domenica 15 e lunedì 16 luglio, qualcuno da una macchina in corsa, dalla distanza di una ventina di metri, mira e colpisce: il bersaglio è la finestra al secondo piano della villetta dell’ex direttore de Il Giornale di Vicenza, ora all’ufficio centrale del Gazzettino, quotidiano al quale era approdato dopo l’esperienza a Il Giornale e dove aveva lavorato per un decennio come inviato di punta.

Cinque spari: tre proiettili entrano nella camera dove dorme uno dei due figli di Gervasutti e si conficcano nell’armadio, nel soffitto e poco sopra la testiera del letto. Il risveglio della famiglia è drammatico: le finestre erano aperte e quei cinque rumori sordi si sono uditi in maniera distinta. Per fortuna nessuno è rimasto ferito, ma lo sconosciuto che ha impugnato la pistola, in maniera a dir poco professionale, ha messo in conto con freddezza e cinismo anche l’eventualità dell’effetto collaterale del ferimento di qualcuno.

Cinque spari che hanno il profilo di un avvertimento, tipico della criminalità organizzata tutta, a prescindere dalla latitudine alla quale appartenga.
Cinque spari che spaventano, interrogano, preoccupano, terrorizzano.

“Non mi faccio intimidire” ha detto Gervasutti. E non si fanno intimidire nemmeno i giornalisti, compresi quelli che per primi questa mattina gli hanno manifestato solidarietà e vicinanza, condannando fermamente il vile attentato: Fnsi, Sindacato e Ordine giornalisti del Veneto e il comitato di redazione del Gazzettino.

Ma se è giusto e doveroso non arretrare di fronte a tali episodi, non bisogna assolutamente minimizzare. Anzi.

“Continuo a sperare che si tratti di uno scambio di persona – ha spiegato Gervasutti – non mi capacito di quanto successo. Non riesco a trovare motivazioni professionali e ancor meno personali. Certo durante i sette anni da direttore al Giornale di Vicenza qualcuno magari avrebbe potuto considerarmi responsabile di qualche torto, ma è passato del tempo, e poi cosa mai potrebbe giustificare una cosa tanto assurda. E al Gazzettino, da due anni in qua, svolgo un ruolo di macchina, per nulla esposto, scrivo pochissimo qualche editoriale a carattere economico. E anche quando ho fatto l’inviato speciale non mi sono mai occupato di malavita o di criminalità, contesti abituati all’uso delle armi”.

Sulla vicenda stanno indagando i carabinieri e l’auspicio di tutti è che si arrivi al più presto all’individuazione dei responsabili: l’attività investigativa sta valutando il più ampio spettro di possibilità, compresa quella del gesto di un folle.

Tuttavia è molto difficile non collegare quei cinque colpi di pistola alla professione giornalistica del destinatario, in un clima in cui la stampa – intesa come informazione – è sempre più sotto attacco perché – diciamocela tutta – dà fastidio.

Ed ecco gli annunci sul taglio dei finanziamenti all’editoria. Ed ecco le perquisizioni nelle redazioni, una – la più violenta – al Mattino di Padova  (già ancora Padova) con quattro colleghi accusati di rivelazione di segreto istruttorio aggravato dal favoreggiamento alla mafia.

Per carità! Nessuno vuole fare di tutta l’erba un fascio. Ma deve essere chiaro che quando si attacca la stampa, da qualsiasi parte arrivi l’attacco, si sa da dove si comincia ma non si sa dove si va a finire.

“Legittimare la caccia al cronista” può dare infatti la stura a una deriva antidemocratica e sovversiva pericolosissima.

Lo insegna la storia: era il 7 luglio del 1977 quando un commando terroristico dell’Unione comunisti combattenti, sparò alle gambe di Toni Garzotto, allora giudiziarista de “Il Gazzettino”, l’agguato a pochi metri dalla sua casa di Abano Terme in provincia di Padova. Sette colpi alle sette del mattino.

Oggi, 41 anni dopo, ancora un giornalista nel mirino, un giornalista minacciato.  E se gli inquirenti stanno valutando l’eventualità o meno di disporre la scorta per Gervasutti, di sicuro Fnsi, Sindacato e Ordine hanno già messo in campo la “scorta mediatica” con l’obiettivo principale di sottrarre il collega all’isolamento e alle strumentalizzazioni. Nessuno si salva da solo. Nemmeno lo stato democratico.


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