[Traduzione a cura di Elena Intra dall’articolo originale di Ottavia Ampuero Villagran pubblicato su Open Democracy]
Vi siete mai fermati a considerare cosa succede ai corpi dei migranti privi di documenti quando muoiono in mare cercando di raggiungere le coste dell’Europa? Chi sono, chi piange la loro perdita, dove e come sono sepolti?
I corpi senza nome e incompianti dei migranti privi di documenti sono ormai una triste realtà per le città costiere del Mediterraneo, il triangolo che collega Tripoli, Zouara e Lampedusa è infatti stato soprannominato “la zona nera“ dalla gente del posto a causa degli innumerevoli cadaveri galleggianti tutt’intorno. Tuttavia, quegli stessi corpi sono vistosamente assenti dalla più ampia narrativa sulla migrazione e dalla retorica di molti attori influenti coinvolti nella politica, nel mondo accademico e nei media. Questo punto cieco è inquietante. I responsabili politici devono urgentemente affrontare la questione dell’identificazione dei corpi dei migranti privi di documenti dal punto di vista dei diritti umani e devono risolvere le carenze degli attuali sforzi di gestione e identificazione attuati nei Paesi europei.
Il “Progetto Missing Migrants” dell’Organizzazione internazionale per le Migrazioni stima che dal 2014 ci siano stati 16.003 morti e scomparse di migranti nel Mediterraneo. Come per le stime sui migranti, vivi, senza documenti, il numero reale è probabilmente molto più alto a causa delle difficoltà nel rintracciare coloro che non vogliono essere rintracciati e nel contare i corpi che sono affondati sotto la superficie delle onde. La maggior parte di questi corpi probabilmente non sarà mai trovata.
Anche coloro che vengono recuperati probabilmente non saranno identificati. Ciò è in parte dovuto alle intrinseche difficoltà di identificazione in questo contesto: non ci sono informazioni immediatamente disponibili sulla nazionalità, sulla rotta o sulle relazioni familiari del migrante; eventuali oggetti personali o documenti di identificazione possono essere rovinati o resi illeggibili dall’acqua e i corpi che sono annegati vengono di solito ritrovati mentre riemergono dal fondo del mare in fase di decomposizione, rendendo a quel punto difficile un eventuale riconoscimento.
L’identificazione è inoltre ostacolata dalla mancanza di disposizioni giuridiche nazionali mirate ad affrontare i decessi dei migranti – e le questioni che ne derivano riguardo finanziamenti, mandati sovrapposti e politiche incoerenti – il che significa che attualmente non esiste una raccolta o archiviazione sistematica di informazioni che potrebbe essere utile per futuri sforzi.
Identificare questi corpi comporta quindi molte sfide, ma non è certamente impossibile, come è stato dimostrato dal successo delle attività di identificazione delle autorità italiane a seguito di tre naufragi al largo di Lampedusa. Nel caso di uno di questi naufragi, il Commissario straordinario per le persone scomparse e il suo team hanno ottenuto un impressionante tasso di identificazione del 58,5% seguendo rigorosamente le pratiche più idonee al trattamento dei deceduti, impegnandosi in un processo multilaterale che combinava una serie di approcci scientifici e sfruttando la società diplomatica e civile per contattare le famiglie delle vittime per informazioni ante mortem.
In un altro caso, gli scienziati forensi e gli antropologi sono riusciti ad identificare i corpi che erano rimasti per un anno immersi all’interno di una nave, dimostrando così che con la tecnologia del DNA l’identificazione è possibile anche nelle fasi di decadimento avanzato o di scheletrizzazione della decomposizione. “Con un po’ di soldi, molta buona volontà e duro lavoro“, ha detto Vittorio Piscitelli, a capo del Commissario straordinario del governo, “si può assolutamente fare“. Il passo logico successivo è quello di fornire questo servizio al maggior numero possibile di migranti morti, non solo a quelli su relitti che ricevono maggiore attenzione politica e mediatica.
Gli Stati europei hanno la burocrazia specializzata e le capacità tecnologiche necessarie per migliorare i loro tentativi nell’identificare i corpi dei migranti. Hanno anche i soldi, considerando che il bilancio dell’UE per la gestione delle frontiere esterne, della migrazione e dell’asilo passerà da 13 miliardi di euro a 34,9 miliardi di euro nei prossimi anni.
Gli esperti raccomandano prima di tutto di creare una banca dati centralizzata per raccogliere le informazioni rilevanti (fotografie, genere, nazionalità, DNA, luoghi di sepoltura) e standardizzare le procedure per la gestione e l’identificazione del corpo. La fattibilità dell’identificazione rafforza ulteriormente l’idea che tentare in modo adeguato di identificare i corpi dei migranti sia un diritto umano da garantire per il bene degli individui, delle famiglie e… Continua su vociglobali