Dopo 70 udienze, il 30 giugno avrebbe dovuto essere il giorno del giudizio per i 739 imputati del “maxiprocesso” iniziato il 12 dicembre 2015 al Cairo. Ma c’è stato l’ennesimo rinvio, al 28 luglio, con una motivazione che ha dell’incredibile: per “motivi di sicurezza” non è stato possibile trasferire gli imputati dal carcere in tribunale! Degli imputati, tutti arrestati il 14 agosto 2013 in quello che è passato alla storia come il massacro di piazza Rabaa al-Adawiya (almeno 900 morti nel primo atto repressivo dopo il colpo di stato di Abdel Fattah al-Sisi) fa parte, unico giornalista, Mahmoud Abu Zeid detto Shakwan.
Shawkan era in piazza a scattare fotografie per conto dell’agenzia londinese Demotix. Faceva il suo lavoro, nient’altro. E invece a suo carico è stata formulata una sequela di accuse, del tutto pretestuose: “adesione a un’organizzazione criminale”, “omicidio”, “tentato omicidio”, “partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, per creare terrore e mettere a rischio vite umane”, “ostacolo ai servizi pubblici”, “tentativo di rovesciare il governo attraverso l’uso della forza e della violenza, l’esibizione della forza e la minaccia della violenza”, “resistenza a pubblico ufficiale”, “ostacolo all’applicazione della legge” e “disturbo alla quiete pubblica”.
Nel corso del processo la pubblica accusa non è stata in grado di presentare uno straccio di prova nei suoi confronti. Shawkan si è trovato – dal punto di vista di un giornalista – nel posto giusto nel momento giusto. Ha fotografato un massacro. Questo è bastato per chiedere la sua condanna a morte.
Il 28 luglio sapremo come andrà a finire, sempre se non ci sarà un altro rinvio per “motivi di sicurezza” o per qualche altra pretestuosa ragione…