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Pd: da dove (ri)partire? il programma è già scritto nella Costituzione, a partire dall’art. 3

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“E poi ci sarebbe il Pd, …il Pd?”. Ormai il Partito democratico è diventato un grande punto interrogativo, svuotato di voti e pieno di domande senza risposte. Ha ancora un futuro? Parlare di “anno zero” del Pd forse è sbagliato, perché le sconfitte elettorali non lo hanno del tutto annichilito, ma il suo futuro sembra incerto dopo che sono cadute, una dopo l’altra, le sue “roccaforti rosse”, come Siena, epicentro di tutti gli scandali bancari. Ma in democrazia –come nello sport- le sconfitte possono essere salutari. L’alternanza, nella gestione della polis, dovrebbe insegnare, soprattutto a chi è stato sconfitto dopo tante vittorie, un po’ di umiltà, riflessione, ascolto, di sé stessi e degli altri.

Invece, da mesi, la “classe dirigente” del Pd annaspa e continua a litigare via tweet, in assenza di un’analisi seria, dolorosa ed approfondita di una sconfitta storica della sinistra riformista.

La fondazione del Pd, tardiva e frettolosa, ha raccolto quello che restava della “cultura costituzionale” dopo la caduta del Muro di Berlino e Tangentopoli, tenendo insieme parti del Pci socialdemocratico, della Dc popolare, frammenti del socialismo che non si era consegnato a Berlusconi, e della tradizione repubblicana e liberale di origine risorgimentale. Quel progetto, ha avuto successo, ha raccolto fiducia e speranze, ha vinto, forse troppo, nei Comuni e nelle Regioni. Poi si è stancato, sfibrato dalle eterne baruffe di una nomenklatura presuntuosa ed arrogante, che si sentiva garantita per l’eternità, specie nelle “zone rosse”, e quindi si poteva permettere di decidere e comandare senza ascoltare il suo popolo. Nel frattempo è cambiato il mondo, ma la “casta” ha fatto finta di niente. E così –un esempio tra i tanti- è fallito, nell’indifferenza generale, L’Unità, il giornale fondato da Gramsci nel 1924, che in anni lontani veniva distribuito, porta a porta, ogni domenica dai militanti. E poi c’erano le “Feste dell’Unità”, realizzate nelle piazze di tutta Italia, grazie al lavoro di migliaia di volontari, dove si mangiava, si giocava e si parlava di tutto. E poi c’erano le sezioni, le “case del popolo”, dove si parlava, si giocava, si leggeva il giornale e si faceva politica. I termini “medi”, comuni in questo piccolo mondo antico, sono il “parlare”, compreso l’ascolto reciproco, e “popolo”, ripetuto mille volte, dentro una rete forte e solidale sul territorio. Adesso il mondo è cambiato, ma le persone -giovani compresi- continuano a parlare, giocare, leggere, sempre meno sulla carta, e a far politica, anche quando decidono di non andare a votare.

Da dove (ri)partire? Dall’umiltà, dal territorio (humus significa terra), che è sempre faticoso da frequentare e coltivare, dalla sicurezza e dal lavoro, che deve essere allargato, tutelato e “protetto”, soprattutto per i giovani, dalla legalità e dalla lotta alla corruzione, all’evasione, alla criminalità organizzata, dalla tutela dell’ambiente, dalla scuola, centro di gravità di qualsiasi sviluppo. Ma bisogna farlo con uno sguardo più ampio e aperto, che sappia concepire una vera “alleanza democratica”, che sappia ascoltare e parlare a un “popolo” spaventato, confuso e arrabbiato. Sarà molto dura, ma il programma e i valori da inseguire sono già scritti nella Costituzione, a partire dall’ art. 3, secondo il quale “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (…)”

Ps. Ci sarebbe anche il problema dei migranti, ma a quello ci sta pensando Salvini.


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