Il fenomeno migratorio è tornato ad essere raccontato, a partire dal 2017, con toni allarmistici e quasi sempre problematici, trasformando in emergenza quello che emergenza non è.
E alimentando così una spirale di rabbie e paure condivise, che sul declino di una presunta “civiltà occidentale” ha costruito nel tempo muri difensivi e stereotipi rispetto allo “straniero invasore” che ne minaccerebbe l’identità.
La realtà è che la percentuale dei migranti in Italia in rapporto alla popolazione è appena dell’ 8 per cento (5 milioni gli immigrati regolari; contando gli irregolari non si va sopra il 10 per cento) mentre la percezione che ne hanno gli italiani è ben superiore: secondo il Rapporto Italia 2018 dell’Eurispes, per più della metà del campione degli intervistati l’immigrazione avrebbe un’incidenza del 16%, mentre per il 25,4% del campione salirebbe al 24% (cioè si ha la percezione che un residente su quattro non sia italiano).
In questa visione distorta dei fatti c’entra molto, naturalmente, la comunicazione passata nei media: basti pensare che al centro dell’agenda dei telegiornali – secondo quanto riportato dal V Rapporto sulla Carta di Roma “Notizie da paura” c’è stato il racconto dei flussi migratori: quasi 1 notizia su 2 è stata dedicata alla gestione degli arrivi nel Mediterraneo.
Non solo. Nel 2017, i telegiornali Mediaset hanno dedicato 1 notizia su 2 dell’immigrazione alla criminalità e alla sicurezza (53%). Mentre nei tg di Rai e La7 la criminalità ha pesato rispettivamente per il 22% e 25%.
Queste forzature e semplificazioni fanno parte integrante di un flusso di informazioni spesso frammentato, che si inserisce in un quadro in cui vengono totalmente dimenticate dai media le grandi crisi umanitarie di oggi, come Eritrea, Burundi, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Mali, Bacino del Lago Chad, Vietnam e Perù.
Sul tema migratorio, in particolare, troppo facilmente ci si scorda che le rotte più battute dai flussi migratori non sono dall’Africa verso l’Europa, ma dal Messico verso gli Stati Uniti, e dall’India all’Arabia Saudita.
Non solo. Di 258 milioni di persone al mondo che sono migranti, in Italia ce ne sono appena 5 milioni. E la maggior parte non arriva dall’Africa, come è nella percezione comune, ma dall’Europa dell’Est.
Tuttavia, il fenomeno migratorio continua ad essere raccontato in maniera del tutto parziale e provinciale: le notizie che riguardano l’immigrazione sono focalizzate per lo più sulla rotta che dalla Libia porta alle coste del Sud Italia.
Il paradosso è che è quasi totalmente assente nella stampa e nei telegiornali nostrani la delicata situazione che riguarda le enclave spagnole di Ceuta e Melilla, poste lungo la costa settentrionale del Marocco, vicino allo stretto di Gibilterra: due punti del continente africano che sono i più vicini alla Comunità Europea e certo parecchio emblematici di come l’Unione Europea abbia tentato negli anni di gestire l’emergenza migratoria in termini più che altro securitari.
Ceuta e Melilla sono infatti divisi dal Marocco con una doppia rete metallica alta tre metri (poi raddoppiata a sei), lunga quasi dieci km intorno a Ceuta e più di 8 km intorno a Melilla, barriere, queste erette rispettivamente nel ’97 e nel ’98.
Veri e propri muri di filo spinato e lame di metallo, con torri di avvistamento, sistemi di videosorveglianza, illuminazione ad alta intensità, e torri di controllo, muniti di camminamenti interni per i soldati della Guardia Civil e costante pattugliamento delle forze di polizia spagnole e marocchine.
Obiettivo, quello di arginare i flussi migratori che a partire dagli anni ’90 hanno visto moltissimi migranti subsahariani tentare di passare il confine per raggiungere l’Europa. Una delle frontiere più militarizzate del Vecchio Continente, eretta con il consenso dell’agenzia europea Frontex, e di cui si è parlato pochissimo già dalla loro costruzione.
Era il 1986 quando… Continua su vociglobali