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Peppino che mi ha cambiato la vita

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di Ivan Vadori

“La voce di Impastato” è un lungo viaggio iniziato dodici anni fa. Sono sceso per la prima volta in Sicilia nel 2006, carico di pregiudizi e, non nego, un po’ di paura per la mia incolumità perché tendo a non farmi gli affari miei. Avevo 25 anni.
Nella terra di Pirandello e Peppino Impastato come di Provenzano e Riina, ho visto con i miei occhi l’onestà dei siciliani che non viene raccontata, essendo più facile narrare le gesta dei mafiosi che, pur essendo in minoranza, tengono sotto scacco l’isola.
Dopo il mio campo scout a Messina, decisi di fare visita a Cinisi per portare un fiore a “quel ragazzo” che tanto mi aveva colpito per il suo coraggio. Ho conosciuto Peppino e la sua storia attraverso un monologo teatrale, che raccontava la notte dell’8 maggio 1978: il ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro e l’omicidio mafioso del giovane attivista siciliano. A Casa Memoria, l’incontro con Giovanni Impastato mi cambiò la vita: tornai in Friuli e lasciai gli studi di ingegneria elettronica deciso ad intraprendere la carriera giornalistica per denunciare le ingiustizie e il malaffare. Tornai all’Università solo nel 2009 per concludere i miei studi, ma in un’altra facoltà: Scienze e Tecnologie Multimediali.
Lo spirito di Peppino tornò a farsi sentire nell’estate 2011, quando dovevo decidere l’argomento della tesi. Il mio amico fotografo Pier Paolo Mittica era appena tornato da un viaggio a Fukushima (dopo il terribile maremoto del marzo 2011) e mi raccontò che diversi allarmi e comunicazioni, durante il terremoto, erano stati diffusi per mezzo della radio. Così compresi che questo mezzo è veramente libero e supera ogni ostacolo, anche nel 2011, in una terra tecnologicamente avanzata come il Giappone.
Riconobbi una volta di più la lungimiranza di Peppino, che aveva eletto questo media a strumento principe per la divulgazione delle sue inchieste e contrastare la Mafia. Chiamai Giovanni Impastato per comprendere e studiare l’archivio e i documenti di suo fratello, risalenti al periodo di Radio Aut (1977). Giovanni mi rivelò che tutti i documenti erano andati persi dopo il sequestro degli stessi da parte delle forze dell’ordine. La mia tesi di ricerca si intitolò: “Radio Aut. Grido di legalità nell’era web 2.0”, facendo un parallelismo con la rete internet. Nel febbraio 2012, a pochi giorni dalla laurea avvenne un fatto straordinario: si riaprì il processo sull’assalto alla casermetta di Alcamo Marina del 1976, nel quale erano stati uccisi due carabinieri, caso su cui Peppino stava indagando alla ricerca dei veri responsabili.
La straordinaria concomitanza di eventi: redazione della tesi e riapertura del processo “Alcamo Marina”, rafforzava l’attualità del lavoro che stavo svolgendo e confermava l’acutezza di Peppino Impastato. Con immensa gioia della professoressa Leopoldina Fortunati e della correlatrice  Manuela Farinosi, per il risultato ottenuto in virtù delle ulteriori evoluzioni, la tesi fu presentata all’Università di Udine il 12 aprile 2012. Non volevo che rimanesse solo negli archivi dell’Università e cercai un editore per pubblicarla, ma non ne trovai alcuno interessato.
Pensai dunque di realizzare un documentario autoprodotto, affinché potesse essere indipendente, per mezzo del crowdfunding (finanziamento di privati attraverso internet) e riuscii a impostare il lungometraggio coinvolgendo trenta professionisti, realizzando interviste a tutti coloro che indirettamente o direttamente avevano conosciuto Peppino: nacque “La Voce di Impastato”. Dall’agosto 2013, per tre anni, ho presentato il documentario in Italia e nel mondo, 76 tappe tra le quali Roma, Palermo, Milano, Cinisi, Parigi, Barcellona, San Marino, Londra, Università di Harvard (USA)…
Ma nella primavera 2015, ritenni doveroso utilizzare il considerevole materiale che avevo raccolto e archiviato, rimasto fuori dal lungometraggio. Pensai, dunque, di realizzare un libro, integrando quanto già possedevo con nuove interviste, continuando la mia… Continua su mafie


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