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L’urlo al popolo

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di Claudio Paravati (direttore di Confronti)

Difficile commentare gli eventi susseguitisi dal 4 marzo. Soprattutto, in questa fase, c’è preoccupazione per lo scontro istituzionale in atto.

Che i poteri in una democrazia che tal voglia essere siano separati tra loro, e proprio per questo sempre in un delicato equilibrio, è cosa pacifica. E che i poteri per loro natura siano anche in contrasto tra loro, lo sappiamo. Ma come stanno in equilibrio? Come si evita che l’uno venga sopraffatto dall’altro? Con l’arte della politica, della buona politica, del saper stare al tavolo, del saper stare nel contesto. Come voleva Aristotele, saper trovare il punto migliore, il giusto mezzo.
Purtroppo il cambiamento in atto, sbandierato – a seconda del punto di vista – ora come la “Terza Repubblica”, ora come “la Repubblica degli incompetenti” ha partorito un topolino: ma un topolino pericoloso.
Un nulla di fatto, ottimo pretesto ora per riaccendere la battaglia politica in un’Italia che, come tutto l’Occidente, è ricca e al contempo povera e disuguale. La pancia delle periferie e della disoccupazione brontola.La politica dicevamo. Bisogna saperla fare. Ecco perché dal tavolo del Pirellone di Milano, dove si è stilato il programma di governo giallo-verde, esce per ora un solo vincitore: Matteo Salvini. D’altronde la Lega è un partito politico radicato, il più longevo delle forze politiche italiane, che di amministrazione e politica se ne intende. Saggiamente ha saputo parlare il giusto. Prima facendo suonare a vuoto il cellulare, poi rispondendo a qualche messaggio: infine divenendo partner del contratto di governo e, una volta preso in mano il timone, ha giocato l’asso e ha fatto saltare il banco. Bisognerebbe avere cautela con chi conosce meglio le regole del gioco.
Adesso si ricomincia da capo. Però niente è come prima. Ora ci sono delle frecce straordinarie all’arco imbracciato dai “difensori del popolo”: con un governo che non potrà che essere tecnico, e col pretesto di essere vittime di un sopruso istituzionale. Finalmente la battaglia politica potrà soffiare con ancora più veemenza contro banche e banchieri europei, che – ora è ancora una volta di più dimostrato – governano al posto della volontà del popolo! Nemici esterni così potenti da commissariare politicamente, in sostanza, il Quirinale. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sedeva in questi mesi sulla poltrona più scomoda del paese. Si possono criticare alcune scelte sui modi e i tempi con cui ha guidato questa fase politica. Ma senz’altro il suo comportamento è stato costituzionalmente «inappuntabile», come ha dichiarato d’altra parte anche il pentastellato presidente della camera, Roberto Fico. Sapeva di doversi assumere una grande responsabilità, dettata dal ruolo istituzionale che doveva e deve continuare a svolgere. Dovremmo esserne contenti, significa che la nostra democrazia funziona. Ma non poteva immaginare che il vaso di Pandora producesse minacce di morte, grida al colpo di stato, e altre simili assurdità.
L’impasse politico è frutto di scelte politiche. Chi la politica la sa fare, sa benissimo che si sarebbe potuto procedere al governo semplicemente sapendo trovare il nome, come è accaduto oggi, ieri e come sempre nella formazione della squadra dell’esecutivo. Ma l’obiettivo era evidentemente un altro, e l’occasione ghiotta. Tornare a votare per mangiarsi tutta la torta… ma siamo sicuri che andrà così? E quale sarà il costo sociale e politico di tale scelta? Le prossime settimane saranno una dura prova per la nostra democrazia.
Dovremo vigilare, non senza qualche preoccupazione, su ciò che verrà urlato in piazza. Sulle parole chiave di una campagna elettorale che ad oggi non fa prefigurare nulla di buono. Ancora una volta.
Pronti a trovare il nemico da abbattere per raggiungere finalmente il nostro meritato benessere: l’Europa dei tecnocrati, i migranti che ci invadono e sostituiscono, i banchieri. Purtroppo non ci sarà posto, stando così le cose, al dibattito delle idee, possibilmente sostenibili. Quelle che servirebbero, tra cui: come riformare questa Europa – perché è evidente che bisogna migliorarla; come fare un programma di lungo respiro sul tema della migrazione; quali politiche attuare per ridisegnare una paese più giusto, più equo; come lottare contro povertà e disuguaglianze sociali. E ancora altre.
E invece si torna a dare la parola al popolo, o meglio, l’urlo al popolo.

E quando si urla… chissà come va a finire.

Da confronti


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