Tre emozioni forti dalla fiction su Pippo Fava con la quale la Rai ha scelto di commemorare l’anniversario della strage di Capaci. La prima la danno le parole che uno straordinario Fabrizio Gifuni pronuncia davanti ad un suo editore, che lì per lì sembra rispettosissimo dell’autonomia della redazione (“io ci metto i pìccioli, lei il resto”) e poi si rivelerà uno squallido prestanome. “Pensavo di inserire qualche clausola”, dice Fava, e propone un sintetico, strepitoso piano editoriale: “assoluta responsabilità sulla linea editoriale del giornale; la titolarità esclusiva di definire assetti e compiti della redazione; la scelta degli editorialisti e dei collaboratori; l’irrinunciabile primato della verità; nessuna interferenza della politica locale e nazionale; nessuna interferenza da parte degli editori; piena ed esclusiva responsabilità del direttore su quello che va in pagina e su quello che rimane fuori”. Torna alla mente la richiesta avanzata per anni da giornalisti e rappresentanze di categoria per uno “statuto dell’impresa editoriale”. Il fatto che sia stata respinta e si sia infranta contro conflitti di interesse grandi e piccoli, di tanti editori, non rende questa richiesta meno giusta e meno attuale.
Il secondo ‘colpo’ arriva rivedendo in onda Enzo Biagi: il vero Biagi, che con una raffinata operazione di montaggio intervista il falso-vero Fava di Gifuni. Biografie scomode che si intrecciano. Viene da rabbrividire a pensare che il dialogo – andato in onda sugli schermi della tv svizzera – avviene appena una settimana prima che Fava venga crivellato di colpi a Catania. Evidentemente la sua denuncia ha già avuto una discreta eco, che però non basterà ad assicurargli protezione e vita.
Ma c’è una terza emozione che il lavoro di Daniele Vicàri lascia dentro, ed è la più bella perché è la più carica di futuro. La fiction esalta il lavoro di un gruppo di giovani guidati da uno straordinario maestro, e trasmette in modo potente la sensazione che nemmeno un omicidio abbia potuto fermare l’onda civile che si era sollevata. Parla della redazione de “I Siciliani” che continua a andare in edicola dopo di lui. Ma sembra parlare anche dei tanti giovani cronisti che oggi si schierano con coraggio contro le mafie. Garantiti quanto i “carusi” di allora, cioè poco o niente, e questa rimane una colpa imperdonabile a carico degli editori. Però meno soli, perché ‘scortati’ dall’attenzione, dalla solidarietà, dalla partecipazione di movimenti e associazioni. Forse questi anni non sono passati invano.