La storia della legge sul conflitto di interessi nell’epoca del centrosinistra a governo (1996/2001) è questa: il testo che passò alla Camera dei deputati risultò debole. Al Senato il lavoro di Stefano Passigli, Cesare Salvi e Massimo Villone migliorò molto l’articolato che –anche per questo- fu bloccato dal centrodestra. La legislatura si stava concludendo. Certamente l’Ulivo dell’epoca non si battè adeguatamente, a causa della brutta miscela tra compromessi e sottovalutazione della potenza del mezzo televisivo. Si perse la faccia, appunto, e quel peccato originale si è trascinato ancora oggi. C’ero e quindi mi assumo la parte di responsabilità che mi compete, benché –a parte i nomi già fatti- diversi di noi avessero espresso sul tema dei media ben altre ipotesi. Già quando nel 1995 Paolo Sylos Labini lanciò un appello (si fece un convegno) per l’estensione dei casi di ineleggibilità della legge del 1957 ai concessionari televisivi. Qualche nome della pattuglia degli sconfitti: Eugenio Duca, Michele Giardiello, Beppe Giulietti. Furio Colombo ne fece persino il punto chiave della sua campagna elettorale e riprese il filo del discorso con la proposta depositata al Senato nel 2006, dopo averne fatto un “tormentone” dell’Unita’ quando fu direttore del quotidiano.
La colpa di allora fu nel non averne fatto il centro della lotta politica, per un senso di disciplina che va amaramente collocato nel tempo. Nella politica odierna sembra lunare. Del resto, non ci furono né grandi campagne, né girotondi (arrivarono dopo), né piena coscienza.
Ora non è così, e per questo risalta la vaghezza del capitolo sulla materia del “Contratto” tra Lega e 5Stelle. Perseverare è sempre diabolico.
Le stesse responsabilità, a mia memoria, non furono di qualcuno in particolare, bensì collettive e dei diversi gruppi dirigenti. Ed è ancora più grave. La verità spesso è meno letteraria, ma è pur sempre il racconto della realtà.
Vincenzo Vita