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La parrocchia, i fedeli, il territorio e la mafia

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Di Cosimo Scordato

L’impegno cristiano deve lavorare ad una doppia concentricità. Da una parte, l’essere-nel-mondo va vissuto in un dialogo sereno con tutte le istanze della contemporaneità (emergenze culturali, problemi epocali) nella consapevolezza di essere con-cittadini con tutti gli altri uomini, corresponsabili del presente e del futuro. Dall’altra parte, l’essere-nel-mondo deve tradursi nel qui-ed-ora delle situazioni concrete.
Accanto ad una sensibilità cosmica, planetaria, inter-religiosa e inter-culturale è altrettanto urgente assumere il legame con il proprio territorio, frammento della storia e della geografia umana.
I problemi più generali dell’umanità competono alla Chiesa tout court e papa Francesco ne è diventato sempre più autorevole interlocutore nello scenario internazionale; ma, per i problemi locali il Concilio Vaticano II ha rilanciato la chiesa locale/particolare; l’essere in un determinato luogo è essenziale per la realizzazione della ecclesialità; detto semplicemente, o una chiesa si realizza in quel luogo e in quel tempo (cultura, tradizione, problemi, bisogni…) del suo esser-ci comunitario; oppure essa viene compromessa nella sua ecclesialità: il riferimento al territorio è la possibilità che l’ecclesialità di ogni Chiesa avvenga e si compia autenticamente.
In questo rinnovato orizzonte ecclesiologico, la mafia è diventata un problema ecclesiale; essa, infatti, si è sviluppata in terra cristiana, in mezzo ad una societas cristiana; i mafiosi hanno cercato la loro legittimazione facendosi anche pubblici difensori della religione.
La Chiesa è chiamata a interrogarsi non solo sul senso della sua missione storica nel passato, focalizzando le condizioni che hanno reso possibile la sua convivenza col fenomeno mafioso; ma, a partire dalla scomunica ufficiale comminata dal papa alla mafia, ancora più deve comprendere il suo compito verso il presente ed il futuro, ricercando quelle condizioni che trasformino il suo essere-qui, in questo tempo e luogo precisi, come autentico antidoto alla mafia e alternativa ad essa ed eliminando precomprensioni, atteggiamenti mentali che, in maniera esplicita o implicita, possano offrire il fianco ad ambigue analogie e quindi a supporti ideali alla “onorata società” (A. Cavadi).
Nel rapporto con lo stato e con la società, la Chiesa da un lato, deve riconoscere il valore dell’istituzione nella sua laicità; dall’altro lato, deve verificare se un certo atteggiamento di estraneità non possa costituire terreno fertile per una sua sottovalutazione, prestando il fianco  alla mafia, che tenta di sostituirsi ad essa, favorendo indirettamente l’idea di «uno stato nello stato».
Inoltre, è proprio di una comunità concreta fare appello il Vangelo per sperimentare dentro i fatti e le cose di ogni giorno l’annunzio salvifico del Cristo crocifisso e risorto. Il legame col territorio è espresso dal termine parrocchia (paroichìa), nella sua etimologia di ‘casa accanto a casa’; il senso va in direzione del farsi prossimo cercando e incontrando gli altri laddove essi vivono i loro problemi per superarli.
Concretamente, un analfabeta non potrà leggere il Vangelo; un disoccupato con problemi di sopravvivenza, intento a sbarcare il lunario, difficilmente si aprirà ad un momento di riflessione religiosa; non sarà facile parlare di paternità, e di paternità divina, ad un ragazzino che non ha conosciuto il padre ucciso dalla mafia; in una società inquinata dal malcostume e dalla illegalità si correrà sempre più il rischio di essere relegati come idealisti o persone che non conoscono la vita… Si suole dire che la mafia e la parrocchia occupano il territorio; ebbene, senza volere enfatizzare questa constatazione, è vero che la parrocchia deve disporsi ad accettare il determinante ruolo storico di vivere nella dimensione territoriale i segni della sua  credibilità; non si tratta di sfidare la mafia, né di ostentare sicurezza e coraggio; più modestamente, si tratta di cominciare a far gustare la bellezza dei luoghi attraverso gesti ed iniziative che li trasformino, a poco a poco, in spazi di socializzazione, di appropriazione comunitaria, di incontro, di giuoco, di festa.
Anche la riscoperta delle feste locali potrebbe muoversi in direzione di un uso del territorio non occasionale ed estrinseco, ma partecipato e coinvolgente.
In questo senso, la parrocchia, sapendo contemperare momenti di denunzia coraggiosa e chiara con momenti propositivi ed evolutivi rispetto alle situazioni iniziali, imparerà a servirsi del territorio come risorsa sociale e pastorale; le diverse attività con bambini e bambine, con gli adulti e gli anziani, possono essere ripensate, oltre che all’interno dei “locali parrocchiali” anche al di fuori di essi, avendo cura di intervenire, con discrezione, soprattutto in quei luoghi che sono compromessi dal loro anonimato; abbellire piazze e vicoli, trasformare strade e cortili in luoghi di incontro e di attraversamenti comunitari è un compito che la parrocchia, con le scuole e le altre istituzioni operanti nel territorio, possono cominciare ad assumere.
A fronte di un deteriorarsi della vita socio-politica, la comunità cristiana, nel rispetto di tutte le altre presenze religiose, deve affiancare la vita dell’uomo, senza presunzioni o sicurezze, povera e disarmata col vangelo nel cuore, compiendo gesti di accoglienza nei confronti di tutti.
Sullo sfondo è di grande incoraggiamento la testimonianza luminosa di padre Pino Puglisi, il parroco che nel quartiere difficile di Brancaccio ha saputo interpretare il suo ministero di parroco coniugando annunzio della Parola e testimonianza di vita, impegno evangelico e gesti di autentica risurrezione nei confronti di situazioni radicalmente deprivate. Sulla stessa linea anche la nostra esperienza di due centri sociali territoriali (S. Francesco Saverio, S. Giovanni Decollato) sta cercando – giorno dopo giorno – di promuovere nel territorio gesti di speranza nell’ambito della dispersione scolastica, della disoccupazione, della ricerca della casa… e della riaggregazione del tessuto sociale.

Da mafie


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