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Non candidabile ma ancora “capo politico”. Il potere di Berlusconi: un conflitto di interessi che continua ad influire sulle vicende pubbliche

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Il conflitto di interessi non è solo e tanto un problema giuridico, bensì una forma di esercizio del potere. Che Berlusconi sia al governo, all’opposizione o a metà strada con un appoggio centellinato (“astensione benevola”), le aziende del patron di Arcore vanno salvaguardate. Vecchia storia, che cominciò quando nel 1994 non passò per un’inezia in sede parlamentare l’interpretazione autentica della legge del 1957 sui casi di ineleggibilità, comprendendo anche i proprietari di televisioni. Eppure vi fu un appello firmato, tra gli altri, da Antonio Maccanico, Paolo Sylos Labini a Vittorio Cimiotta. Negli anni del centrosinistra dal 1996 al 2001 il testo debole approvato dalla Camera fu nettamente migliorato al Senato, ma troppo tardi.

La legislatura finiva e i gruppi dirigenti dell’Ulivo preferirono dedicare l’ultima annata alla riforma de Titolo V della Costituzione: incredibile ma vero. E poi arrivò la fragile legge Frattini del 2004, di cui non a caso nessuno si è neppure accorto. E via via fino ai giorni nostri. Ora, con la legge Severino Silvio Berlusconi non è candidabile, è vero. Tuttavia, l’ex Cavaliere è pur sempre “capo  politico” e influisce, eccome, sulle vicende pubbliche. E’ verosimile, quindi, che l’eventuale apertura verso un esecutivo con Mov5Stelle e Lega di Salvini abbia contropartite proprio sugli interessi diretti di Fininvest e Mediaset. In parte ciò è già avvenuto, essendo stata respinta l’offensiva di Bolloré nell’azionariato di Tim e verso l’impero televisivo dopo la fragorosa rottura sulle pay. Ed è un bell’indizio il fatto che il fondo Elliott che ha vinto (per adesso) la partita di Telecom sia quello che ha permesso la compravendita del Milan. Proprio quest’ultimo affare disegna un metodo: l’amico americano garantisce finanziariamente e Berlusconi mantiene un peso reale. Bolloré, che nessuno metterebbe nel Libro Cuore, dava fastidio ed è stato sconfitto anche per l’azione della Cassa depositi e prestiti, la leva dello stato. E’ spianata così l’entrata dei gioielli di famiglia nella società telefonica, ottima soluzione per offrire una possibile alternativa strategica al business calante della televisione generalista.

Non solo. La Rai. In vista della campagna elettorale servono garanzie sulle direzioni delle testate e sui luoghi di comando, magari per riprendere pure il sogno infranto dell’accorpamento tra Rai Way e EiTowers, le società degli impianti di Rai e Mediaset da conferire nell’avventura della rete scorporata di Tim.

Ovviamente, sarà stato chiesto sotto giuramento di non modificare né la legge del 2015 sul servizio pubblico, né il vecchio Testo unico del 2005 dell’epoca di Gasparri eterno salvacondotto per i canali berlusconiani, né le regole sugli affollamenti pubblicitari. E’ probabile, poi, che una strizzata d’occhi sia corsa in merito al decreto sulle quote obbligatorie di investimento nel cinema e nell’audiovisivo. Si tratta di un testo importante, forse la parte migliore della riforma del cinema (l.n.220 del 2016).  Abbisogna ancora del regolamento attuativo e i sorrisetti compiaciuti dei dirigenti del “duopolio” fanno capire che si tratta di un manifesto di propaganda più che di una disciplina applicabile.

Un capitolo delicato riguarda le frequenze, che le scelte europee vorrebbero attribuire in parte all’incremento della banda ultralarga entro il 2020-2022. E’ in arrivo un rinvio? In tema di onde herziane il Biscione ha il record mondiale nell’ottenere norme a proprio uso e consumo. Dalla notte dei tempi, quando il primo piano finì alla magistratura.

Si potrebbero aggiungere ulteriori paragrafi ad una lista che da lustri corre di mano in mano, con complicità trasversali e una leggerezza irresponsabile da parte di ceti politici , i quali preferiscono andarci in televisione, non rinnovarla.

Al di là di quello che accadrà davvero nelle prossime giornate, è evidente che proprio a causa di simili mediocri e perniciosi compromessi l’Italia è in fondo alla classifica sia per l’innovazione tecnologica sia per la libertà di informazione. Le condizioni di Berlusconi sono gravi sotto il profilo democratico e per l’esercizio del pluralismo. Nonché costituiscono  la pietra tombale per una vera modernizzazione del paese. Torniamo a trent’anni fa. C’è Internet, lo sa Berlusconi?


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