Di Tea Sisto
Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, la Vergine Maria, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, non necessariamente in quest’ordine. E ancora Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Cristo in croce, Rosario Livatino Carlo Alberto dalla Chiesa. Non necessariamente in quest’ordine.
Perché quelle immagini, sia di vittime innocenti di mafia che sante, portate in processione, che non pareva in verità una processione rituale, o in corteo, che non sembrava propriamente un corteo, si sorpassavano a ogni prevedibile cambio di passo dei partecipanti alla marcia.
Ecco, marcia è il termine esatto di ciò che c’è stato a Brindisi il 23 maggio scorso, a venticinque anni dalla strage di Capaci. A volerla era stato don Cosimo Zecca, 45 anni, da meno di cinque parroco di San Nicola, la chiesa di un quartiere periferico, tra i più a rischio e tra i più lasciati nel degrado della città.
Un quartiere-dormitorio che, tra la fine degli Anni Cinquanta e l’inizio degli Anni Sessanta, qualche amministratore, forse per spiccato senso dell’umorismo o per ineffabile ottimismo, volle chiamare Paradiso, confermando il nome di quella che prima era una contrada immersa nel verde.
La marcia di centinaia di fedeli e dell’attivissima associazione di quartiere partì di pomeriggio dalla chiesa per fermarsi nella piazzetta dedicata ai Caduti di Capaci. Lì la messa, che non pareva una vera e propria messa, con l’omelia di don Cosimo che, quel giorno del mese dedicato alla Madonna, parlò soprattutto di mafia tra quelle immagini e i cartelli che riportavano le frasi di Falcone e Borsellino.
Poche settimane prima don Cosimo aveva protestato contro gli atti vandalici nella scuola media del quartiere. Da sempre mantiene un rapporto con il Centro di aggregazione giovanile del Paradiso, ricavato da una villa confiscata alla mala e gestito da due cooperative sociali laiche che cercano con doposcuola, corsi di musica, concerti e convegni, di strappare i ragazzi del quartiere al destino e alla “pratica”, talvolta criminale, dei loro padri.
Al Cag i furti di pc e strumenti musicali e gli atti di teppismo non si contano più. Insomma non si può dire che il Cag sia popolare tra una porzione degli abitanti del Paradiso che preferirebbe non essere disturbata nell’educazione delle nuove generazioni. Quella stessa porzione, piccola ma molto rumorosa e arrogante, non gradisce neanche don Cosimo, questo parroco che dichiara di ispirarsi a Oscar Romero e a don Tonino Bello, che si dà troppo da fare contro la mafia e per l’accoglienza dei migranti, che si batte per la difesa dell’ambiente, che invita a parlare nella sua chiesa il gesuita Giovanni Ladiana (da sempre in prima linea contro la ‘ndrangheta), che organizza persino marce, che non si fa i fatti suoi. Dà fastidio, destabilizza, rimette il gioco il rapporto tra chi vuol comandare e chi è costretto a subire. Sono spesso vicini vicini gli infastiditi da questa invasione, irrimediabilmente pacifica, del “loro” territorio. Chi vuol tenere sotto scacco il quartiere si ritrova, quasi ogni giorno, in un bar poco distante dalla chiesa.
Alla fine è arrivato l’attacco diretto e inequivocabile al sacerdote: una manifestazione con tanto di megafono davanti alla sua chiesa organizzata da un comitato di quartiere spuntato dal nulla. Tutto nasce, alla fine dell’agosto scorso, da una delle tante fake news in circolazione riportata da un sito web. Questa la “bufala”: i migranti ospiti del dormitorio saranno spostati in una tendopoli davanti al Centro di aggregazione giovanile del Paradiso.
Scandalo: il quartiere, sin dalla sua nascita, non ha mai visto un solo immigrato. Neanche uno ha sbagliato strada e si è ritrovato lì a sua insaputa. Don Cosimo tranquillizza alcune parrocchiane. “No, non è vero. Ma anche se fosse?” E poi dall’altare: “La mia chiesa e questa comunità parrocchiale sono aperte a tutti, senza discriminazioni e cercano di vivere il Vangelo che non a caso ha detto: ero forestiero e mi avete ospitato. Quando mi si dice che faccio politica dico: certo, se la politica deriva dal termine polis, interessarsi della città“. Apriti cielo.
I leoni della tastiera si scatenano su facebook contro il parroco e chi lo sostiene.
Al sit in davanti alla chiesa, organizzato in un orario in cui il parroco celebra la messa, urla dall’altoparlante il leader della protesta, già condannato per associazione a delinquere finalizzata al contrabbando. Sulla t-shirt, indossata per l’occorrenza, il motto dannunziano “memento audere semper”. Accanto a lui un ex consigliere comunale, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, assolto in primo grado e in attesa del verdetto in appello. Poi c’era un avvocato, ex assessore, oggi aspirante candidato sindaco a Brindisi per centrodestra, Lega compresa.
I due accompagnatori un mese prima avevano diffuso sul social una foto: sguardo fiero e mani tese nel saluto romano davanti a una torta di compleanno con la svastica celtica. Il repertorio del sit-in era quello classico. “Non siamo razzisti, ma dobbiamo proteggere le nostre famiglie e i nostri bambini dai migranti”, “Non li vogliamo”, “Prendeteli a casa vostra” “Continueremo la nostra protesta e sarà concitata” e così via. Don Cosimo aprì le porte della chiesa e continuò, nonostante il frastuono, a celebrare la messa. Non fece una piega neanche quando gli arrivarono offese pesanti e minacce sui social. Anzi continuò a rilasciare dichiarazioni a favore dell’accoglienza, contro la criminalità e il modus operandi mafioso. Molti gli hanno espresso solidarietà, compresi tutti gli altri parroci di Brindisi. Non è solo. Si è però infuriato, poche settimane fa, quando si è ritrovato, sul bianco muro esterno della parrocchia, la scritta “chiesa di merda”. Lui ha risposto a tono all’ennesima provocazione.
“Ciao don Cosimo. Andiamo a prendere un caffè al bar prima della chiacchierata?”. “No, lascia perdere. Sai bene chi troviamo là. Poi usciamo di cattivo umore. Non ne vale la pena. Te lo offro io il caffè, in sagrestia”. Così sia.