Pietro Mennea e il suo sogno da Barletta, il suo volo verso l’infinito e oltre, i suoi 200 metri corsi con rabbia e con ardore, il suo record rimasto a lungo imbattuto, la sua grinta e il suo temperamento d’acciaio, le sue quattro lauree e la sua tragica fine. E don Tonino Bello da Molfetta, il vescovo contro corrente, colui che voleva una Chiesa povera per i poveri, una Chiesa pulita, limpida e dal sapore familiare, una “Chiesa del grembiule” che si battesse sempre e comunque al fianco degli ultimi e dei deboli, dei diseredati, degli oppressi, degli umili, riprendendo la profezia di don Milani e anticipando quella di papa Francesco.
Mennea e i suoi sessant’anni in memoria, i cinque anni che ci separano dalla sua morte, il lungo addio che ha segnato la sua fine, la tristezza che ci ha colto quando abbiamo appreso che il guerriero di mille battaglie era stato sconfitto, stavolta per sempre, da un nemico testardo e con il quale nemmeno la sua tempra di lottatore indomito ha potuto nulla.
Allo stesso modo, neanche con Tonino Bello, scomparso esattamente venticinque anni fa, ha potuto far nulla contro il cancro allo stomaco che se l’è portato via a soli cinquantotto anni, al termine di una vita trascorsa a difendere le ragioni della pace e della convivenza civile, al punto di recarsi, già gravemente malato, in una Sarajevo straziata dalle bombe e dalle conseguenze di un assedio devastante.
Due combattenti, dunque, due idealisti ai limiti dell’ingenuità, due persone meravigliose e due esempi della Puglia più bella, più nobile, più sensibile e disposta a battersi per i propri diritti e per i diritti in senso universale, per il proprio riscatto e per il riscatto degli esclusi, degli emarginati, di chi non ha neanche più la forza di gridare.
La bella Puglia che un assessore di nome Guglielmo Minervini, anche lui nativo di Molfetta, ha cercato di far rivivere, prima che un maledetto tumore si portasse via anche lui. E a Guglielmo, ai suoi sforzi, ai suoi sacrifici e alla sua straordinaria passione civile è dedicato questo articolo, affinché ci si ricordi che la politica e la vita possono essere anche questo; anzi, che sono soprattutto questo, persino in una stagione avvelenata dalla sfiducia collettiva come quella che stiamo vivendo.