Il grido di Karol Wojtyla nella Valle dei Templi

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di Orazio La Rocca

“Mafiosi, voi che portate sulle vostre coscienze tante vittime innocenti, convertitevi! Cambiate vita!..Dio ha detto ‘Non Uccidere!’..e un giorno verrà il giudizio Divino!” grida, a sorpresa, Giovanni Paolo II nella storica omelia pronunciata nella Valle dei Templi di Agrigento il 9 maggio 1993.
Mai un papa – prima di Karol Wojtyla – si era mai rivolto con tanta forza profetica contro la mafia e qualsiasi altra forma di violenza. E tantomeno un semplice vescovo o qualsiasi altro esponente delle gerarchie ecclesiali, salvo qualche rara eccezione come il cardinale di Palermo Salvatore Pappalardo (che ebbe parole di fuoco il giorno dell’assassinio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa) o anonimi sacerdoti come don Pino Puglisi, il parroco palermitano ucciso a cinquantasei anni dalla mafia per il suo impegno a favore dei giovani il 15 settembre 1993, il giorno del suo compleanno. Con papa Wojtyla tutto cambia.
La svolta, una domenica mattina nella Valle dei Templi di Agrigento, durante la Messa celebrata dal pontefice nel suo secondo pellegrinaggio in terra di Sicilia, dove pronuncerà, a braccio, forse il più memorabile discorso dell’intero pontificato destinato a cambiare la storia della pastorale ecclesiale nei confronti del potere mafioso e delle organizzazioni malavitose non solo nell’isola siciliana, ma in tutto il meridione (camorra e ‘ndrangheta in testa) e in qualsiasi altra parte del mondo.
Quel 9 maggio del ’93 – una splendida domenica mattina di venticinque anni fa illuminata da un sole ormai estivo che rese ancora più bella e colorata la suggestiva spianata archeologica agrigentina – è la data della seconda tappa del nuovo pellegrinaggio di Karol Wojtyla in Sicilia, che già aveva visitato per la prima volta, a Palermo, nel 1982, l’anno dopo l’attentato in piazza San Pietro dove fu gravemente ferito dal terrorista turco Alì Agca.
Un pellegrinaggio di tre giorni, dal sabato 8 al lunedì 10 maggio, iniziato con la visita a Trapani e concluso a Caltanissetta, con decine di incontri, celebrazioni, discorsi, in mezzo ad ali di folla festanti che tributano al papa polacco una accoglienza calorosa ed entusiastica ed a tratti anche commovente, tanto – come confiderà Wojtyla in seguito ai suoi collaboratori – da farlo sentire uno di loro, un papa “siciliano”.
Un sentimento che lo accompagnerà per tutta la durata del viaggio e che nella indimenticabile tappa alla Valle dei Templi gli darà la forza per pronunziare quello che sarà universalmente ricordato come la più forte, incisiva, severa condanna papale contro la mafia, un anatema, senza se e senza ma, lanciato per mettere all’indice le occulte forze del male che opprimono la Sicilia e tutte le altre forme di violenze malavitose presenti altrove.
Un intervento destinato a scuotere le coscienze, spontaneo, non programmato, che il papa pronunzia alla fine della celebrazione, sconvolgendo il cerimoniale, dopo che durante la Messa aveva già predicato l’omelia incentrata intorno alla forza purificatrice e misericordiosa di Dio che, “tramite il sacrificio di Gesù, crocifisso, morto e risorto”, è sempre pronto ad accogliere i “suoi figli, anche quelli che, pur avendo sbagliato, si pentono sinceramente e cambiano vita radicalmente”. Parole alte, profonde, teologicamente ineccepibili, destinate a tutti, anche ai mafiosi, che il pontefice legge sulla base di un testo preparato in precedenza, prudentemente ponderato dalla Segreteria di Stato della Santa Sede.
Ma papa Wojtyla quel giorno sa che la Sicilia si aspetta da lui qualche “cosa” di più. Sente che la folla che lo ascolta ad ogni tappa, che lo invoca nei vari appuntamenti previsti nel fitto programma della visita, come pure le migliaia di persone che lo accolgono sulla spianata dei Templi, da anni stanno vivendo una interminabile Via Crucis fatta di vittime innocenti di attentati mafiosi, violenze, oppressioni, culminate pochi mesi prima con le stragi di Capaci e di Via D’Amelio del 23 maggio e del 19 luglio 1992 dove furono trucidati i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e i poliziotti  e le poliziotte delle  loro scorte. Giovanni Paolo II sente che, di fronte a tanto dolore e a tanti uomini e donne ammazzati mentre stavano compiendo il loro dovere (anche questo aspetto il pontefice confiderà al rientro dalla Sicilia), deve parlare liberamente, senza fermarsi al testo preconfezionato dai suoi collaboratori.
Ed ecco che, alla fine della Messa, col volto teso, lo sguardo fisso sulla folla che lo acclama, la mano sinistra appoggiata al bastone pastorale a Croce astile e sotto un Gesù crocifisso posto davanti all’altare, si avvicina al microfono e inizia a parlare con voce ferma e decisa, sotto lo sguardo preoccupato del cerimoniere pontificio, il vescovo Piero Marini, preso in contropiede dal  fuori programma papale.
Karol Wojtyla appena apre bocca, col braccio e la mano destra sollevati, richiama subito all’ordine inequivocabilmente i mafiosi che “qui portano sulle loro coscienze tante vittime umane”.  “Carissimi – è l’esordio di Wojtyla – non si dimentica tanto facilmente una tale celebrazione in questa Valle dei Templi. Sono qui per invocare concordia senza morti! Senza assassinati, senza paure, senza minacce, senza vittime..che sia concordia! Una concordia di pace a cui aspira ogni popolo e ogni persona umana e ogni famiglia. Dopo tanti tempi di sofferenze avete finalmente diritto a vivere nella pace! E quanti sono colpevoli di disturbare questa pace, quanti portano sulle loro coscienze tante vittime umane devono capire che non è permesso uccidere innocenti”. Ma questi, i malavitosi, “devono capire – ammonisce il Papa – che non si permette di uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: ‘Non uccidere’!”.
“Non può qualsiasi uomo, qualsiasi agglomerazione umana, la mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, non può vivere sempre sotto la pressione della civiltà contraria, civiltà della morte”, sottolinea il Papa, che aggiunge: “Qui ci vuole la civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso morto e risorto, di questo Cristo che è vita…via, verità, e vita. Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”. Quando pronunzia queste ultime parole il papa è visibilmente scosso e la gente si commuove insieme a lui. Non nasconde la sua rabbia che accentua con la mano destra alzata come monito.
Per concludere, dopo qualche attimo di silenzio, con un saluto di speranza. “Carissimi vi ringrazio per la vostra partecipazione a questa preghiera così suggestiva, profonda, partecipata. Vi lascio con questo saluto: Sia lodato Gesù Cristo, via, verità, vita. Amen”.
Giovanni Paolo II lascia Agrigento tra gli applausi dei presenti, continua il suo viaggio, segnato dalla sua forte testimonianza di profeta della lotta alla mafia, che però qualche mese dopo non tarderà a farsi “sentire” a suo modo, con le bombe alla basilica di S. Giovanni in Laterano, la cattedrale del Papa di Roma, e alla chiesa di San Giorgio al Velabro la sera del 27 luglio 1993 e l’assassinio di don Pino Puglisi il successivo 15 settembre, martire della mafia che papa Benedetto XVI ha beatificato nel 2012 raccogliendo il testimone di papa Wojtyla.


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