di Umberto Rosso
Quel gesuita fanatico che pensava di vivere nel Paraguay del 1600, riuscì a raccogliere la meglio gioventù contro la mafia. Anche se correvano gli Anni Ottanta, seconda metà, eravamo a Palermo, ed era la stagione feroce della mattanza corleonese. Padre Ennio Pintacuda a dispetto dell’anatema del presidente della Repubblica Francesco Cossiga, o forse proprio perché in fondo si sentiva davvero un missionario nella giungla amazzonica circondato dagli infedeli, s’insediò in una roccaforte liberata. Un lembo di territorio, forse uno dei pochi, sottratto all’assedio delle cosche e degli uomini politici che le rendevano, allora, invincibili. Una specie di Fort Apache, solo alle spalle di viale Lazio.
Via Franz Lehar 6, Istituto di formazione politica dei gesuiti Pedro Arrupe. Diventò un indirizzo celebre, prima a Palermo e presto in tutto il Paese. La scuola-laboratorio della primavera di Palermo e dell’avventura di Leoluca Orlando, figlio spirituale e allievo politico di Pintacuda.
Per Bettino Craxi semplicemente un «covo di imbroglioni», e più di tutti lo era proprio lui, padre Ennio Barracuda. Ma il segretario aveva i suoi motivi, i socialisti erano stati messi alla porta a Palazzo delle Aquile. Craxi minacciava di far cadere il governo a Roma con la Dc.
«Voi mi volete mettere nei guai coi socialisti», urlava al telefono Ciriaco De Mita con Sergio Mattarella, in quel 1987 regista dietro le quinte dell’eretica giunta anomala. Accanto all’uomo che oggi è il capo dello Stato, nei momenti drammatici e decisivi per la nascita stessa del pentacolore, un altro gesuita. Padre Bartolomeo Sorge, sbarcato in Sicilia per guidare il centro Arrupe, raffinato teologo ma sopratutto acuto politologo con il sogno di rinnovare e salvare la Democrazia cristiana prima del diluvio. Che poi infatti puntualmente arrivò, e la travolse.
Pintacuda e Sorge, i gemelli diversi ispiratori dell’esperimento Palermo, che tremare il pentapartito fa. Sorge e Pintacuda, uniti nel teorizzare la teologia della liberazione applicata a Palermo («Assurdo, uno schema terzomondista in un paese occidentale», polemizzava Gianni Baget Bozzo, socialista) però divisi sulla prospettiva finale della guerra.
La nascita di un’altra Dc per poi andare a braccetto con il Pci, nel progetto del direttore di “Civiltà cattolica”. Un partito ex novo, trasversale, per far saltare gli schemi l’obiettivo invece di Pintacuda. Però entrambi uniti e convinti su un principio, un passaggio chiave: mai insieme al Partito socialista di Craxi, in Sicilia poi esibito nella sua versione peggiore di corruzione e collusione con la mafia. La benzina stessa, in qualche modo, che consentì di mettere in moto queste “convergenze parallele” dell’Istituto Arrupe, lo strano tandem che lanciò il centro dei gesuiti sulla scena nazionale.
Padre Sorge più con Mattarella, la fatica della mediazione, del confronto paziente, dell’analisi puntigliosa, ma senza l’allora capo della sinistra dc siciliana che fece da scudo e garante per Orlando con i vertici del partito furiosi, la primavera non sarebbe mai nata.
Padre Pintacuda più con Orlando, rompere e spaccare, sempre al centro della scena e sotto i riflettori, chi non sta con noi è contro di noi. E siccome l’antimafia siamo noi, chi ci ostacola o critica è colluso. Pintacuda lo teorizza: il sospetto è l’anticamera della verità.
Con Luca Orlando, che nel frattempo ha imbarcato anche il Pci al Comune, si lancia presto in una nuova avventura. Impossibile riformare la dc dall’interno, il sistema si abbatte e non si cambia. Nel ’90 fonda la Rete. E la strana coppia del centro Arrupe si separa, prende strade diverse. Non serve un altro partito, obietta Sorge, che in una lunga, appassionata, liberatoria conferenza stampa convocata nel fortino dei gesuiti sconfessa Pintacuda. Il sospetto come metodo è solo caccia alle streghe. Basta demolire, ora serve il filo a piombo per ricostruire.
Dopo la primavera, c’è l’estate. Mette fuori il fratello gesuita dal centro di via Lehar.
L’estate a Palermo non arrivò. Pintacuda romperà con la Rete e con Orlando, accusato di non fare più gli interessi della città, va a dirigere una scuola della Regione sul castello Utveggio e finisce in Forza Italia. Che a Palermo vuol dire Marcello Dell’Utri, condannato per mafia. Una parabola sconcertante. Ai suoi funerali, Luca non c’era.
Padre Sorge se ne va a Milano, a guidare la rivista dei gesuiti “Aggiornamenti sociali”, di cui tuttora è direttore emerito. La Dc che voleva cambiare è stata spazzata via, insieme a tutto il resto della prima Repubblica. Ma la passione dell’alchimista politico in lui non si è spenta. Ha scommesso su Renzi.