Il sequestro del sito Butac (Bufale un tanto al chilo), la testata che si occupa di smascherare le bufale che girano in rete, disposto dalla Procura della Repubblica di Bologna, a seguito di una querela per diffamazione nei confronti di due giornalisti del sito, costituisce un esempio, grave, di violazione dei diritti civili, e fra questi del sacro diritto sancito dall’articolo 21 della nostra Costituzione. La questione è anzitutto tecnica e giuridica: è possibile porre sotto sequestro un sito web che ha tutte le caratteristiche di una vera e propria testata informativa? La risposta, invero, non può che essere negativa, tanto da far apparire il provvedimento della Procura del tutto sproporzionato oltre che in aperta violazione della più recente giurisprudenza nazionale e comunitaria in tema di sequestri preventivi.
Cerchiamo di tracciare, brevemente, un quadro chiaro di ciò che la normativa nazionale prevede in merito al sequestro delle testate giornalistiche.
La legge sulla stampa (legge n. 47/1948) prevede che la stampa possa essere posta sotto sequestro nei casi tassativamente previsti dal legislatore, fra i quali non rientra il reato di diffamazione a mezzo stampa: dunque, a seguito di una querela per diffamazione è escluso che si possa procedere al sequestro della testata.
Bene, se ciò è vero per una testata cartacea, cosa prevede la norma per una testata on line? Nel caso di una testata on line, secondo la Suprema Corte di Cassazione (che si è espressa chiaramente sul punto con una sentenza a sezioni unite del 2015), devono seguirsi, almeno in tema di sequestro preventivo, le norme previste dalla legge sulla stampa, e cioè l’inapplicabilità del sequestro preventivo.
Detto che nel nostro ordinamento non sussiste un obbligo del magistrato di conformarsi al precedente giuridico, chiedersi cosa sia accaduto nel caso di Butac è comunque del tutto legittimo: ad avviso di chi scrive è probabile che i magistrati della Procura o abbiano ritenuto non condivisibile l’orientamento della Cassazione o, più probabilmente, abbiano ritenuto che il sito Butac non sia una testata giornalistica, circostanza che però lascia del tutto basiti, poiché, a prescindere da ogni eventuale e sostanziale registrazione, l’orientamento dei pronunciamenti comunitari della Corte di Strasburgo è nel senso di accordare il rango di stampa, in funzione del ruolo svolto dal sito: ora, è evidente che un sito che si premura di smascherare le bufale e le fake news, e facendolo propone notizie vere e fondate sui dati scientifici ovvero di più alta credibilità, non possa non assurgere al rango di stampa, e con ciò non possa non godere delle particolari tutele poste a presidio della stampa.
Ciò che, però, emerge, al di là del dato tecnico e giuridico, è la circostanza che, ancora una volta, il nostro Paese appare, nella tutela della libertà di stampa, anche per ciò che riguarda la magistratura ed il modo con il quale la stessa lo tutela (o dovrebbe tutelarla), assai indietro rispetto allo standard europeo, per tacere di quello statunitense, nella quale un provvedimento del genere avrebbe fatto gridare allo scandalo l’intero panorama informativo e culturale.
Ed infatti, pur ritenendo del tutto irragionevole un provvedimento del genere, lo stesso appare anche sproporzionato, perché, nel caso, si sarebbe potuto sequestrare il solo articolo anziché l’intera testata, ma ciò, in realtà, si ha la sensazione che sia una ulteriore dimostrazione della scarsa dimestichezza che la magistratura (ma non soltanto la magistratura, ovviamente) ha con il mezzo tecnico Internet, che rappresenta l’orizzonte di tutto il sistema informativo. In definitiva, se il Diritto è il mezzo attraverso cui si regolano i rapporti civili all’interno di una comunità, la comprensione di questi rapporti è un elemento essenziale, dinanzi al quale non si può apparire impreparati.