Mentre si affilano le armi per disboscare le ultime resistenze nella formazione di un governo che porti alla “coabitazione” tra i 5Stelle e la Lega, ecco che le sirene delle iperliberiste istituzioni internazionali (Commissione Europea di Bruxelles, OCSE di Parigi, FMI di Washington) lanciano i loro allarmanti richiami sul nostro sistema pensionistico.
Allungare l’età lavorativa; abolire la quattordicesima mensilità; bloccare qualsiasi tipo di rivalutazione; erodere ancora la percentuale delle mensilità sulle ultime retribuzioni, anche ricalcolando gli importi delle “vecchie pensioni” ritenute “troppo generose”; allargare la platea dei prelievi forzosi, definiti eufemisticamente “contributi di solidarietà”; abbassare le pensioni di reversibilità per il coniuge superstite.
In pratica, ridurre ancora di più il tenore di vita di 21 milioni di pensionati pubblici e privati, contraendo la fascia socialmente e politicamente determinante del ceto medio, che finora aveva fatto da baluardo a qualsiasi movimento demagogico e populista. Si allargherebbe la soglia delle famiglie in difficoltà, già ai massimi rispetto al resto d’Europa (siamo secondi solo alla Grecia, ridotta ormi in miseria cronica), compromettendo ancor più quel “Welfare alternativo” familiare, che dal 2008 in poi ha sostituito quello statale, già di per sé inefficiente e carente. Secondo il Centro Studi CGIA di Mestre, infatti, in Italia 18 milioni di persone sono a rischio povertà o esclusione sociale (55,6% in Sicilia, 49,9% in Campania, 46,7% in Calabria, proprio le regioni dove i 5Stelle hanno trionfato!).
L’Italia è un paese atipico, rispetto al resto dei paesi capitalistici, dove il sistema di sicurezza sociale, assistenza, previdenza e tutela dell’occupazione, risulta uno strano coacervo derivato dalla tradizione catto-comunista: tipico da regime sovietico infarcito però di intrusioni liberiste. Nella “Babele” delle proposte avanzate durante la campagna elettorale dai 5Stelle del Di Maio e dai leghisti del Salvini, spicca l’ennesima riforma del Welfare, partendo dalle pensioni con l’abolizione della “Fornero”, per arrivare al reddito di cittadinanza, alla drastica riduzione della pressione fiscale con la FlatTax. Eppure, dopo l’abbagliante gioco di specchi, la confusione regna sovrana. In realtà, entrambi i movimenti si rifanno alle teorie neo-liberiste: chi più chi meno euroscettici, a volte sovranisti e contro l’arrivo in massa dei migranti. Ma tutti e due appiattiti sulla “guerra generazionale”.
Se la base di partenza, dunque, è quella di tagliare col passato, anche dal lato dello “Stato sociale”, allora alcune riforme sarebbero ineludibili e potrebbero addirittura trovare sostegno nelle istituzioni internazionali, che sovrintendono all’andamento dei nostri conti pubblici, come l’austera BCE guidata da Mario Draghi.
SCELTA INDIVIDUALE DEL SISTEMA PENSIONISTICO:
Stravolgere ancora il sistema pensionistico e drenare soldi attraverso nuove imposizioni fiscali e tagli significherebbe massacrare interi strati sociali, che ancora oggi sono la nerbatura del sistema economico italiano. Significa estendere l’area della indigenza a decine di milioni di persone, costringere loro anche ad alienarsi i beni immobili, liquidare i risparmi nei titoli di stato, ridurre drasticamente le spese, i consumi, abbassare il tenore di vita. In pratica, assisteremmo al fallimento del “sistema paese”, già disperatamente in fase di Depressione, senza presupposti per riavviare lo sviluppo e l’occupazione, creando una destabilizzazione, che potrebbe sboccare anche in scelte autoritarie. Significa arrendersi di fronte all’immane montagna di evasione ed elusione fiscale anche contributiva (tra i 120 e i 150 miliardi di euro l’anno!), depredando i “soliti noti” e alimentando una “guerra generazionale”, del tutto assurda e controproducente. Su 25 paesi più industrializzati, l’Italia si pone al 20° posto come sistema pensionistico, poco prima di Indonesia, Cina, Giappone, Corea del Sud e India. A primi tre posti ci sono Danimarca, Olanda e Australia.
Per rompere col passato si dovrebbe, invece, passare per la “Libertà Previdenziale” con un regime misto tra ripartizione, sostenuto dallo stato tramite una mini-INPS, e a capitalizzazione, legato alla contrattazione collettiva e individuale degli occupati in qualsiasi forma, col metodo di calcolo contributivo corretto da rivalutazioni annuali. Si prefigurerebbe una drastica riduzione delle competenze dell’INPS, ovviamente. Soprattutto si toglierebbe al bilancio previdenziale dell’istituto il deficit tra i 12 e i 20 miliardi l’anno per gli assegni assistenziali, un tempo erogati dal Ministero dell’Interno.
Al primo gennaio 2018 le pensioni erogate dall’Inps per il settore privato erano 17.886.623 (di cui quasi 4 milioni sotto forma di “prestazioni assistenziali”), con una spesa complessiva annua pari a 200,5 miliardi, in aumento dell’1,57% sul 2017. Il 70,8% delle pensioni erogate, 12,8 milioni di assegni, sono inferiori a 1.000 euro. Il numero di pensionati pubblici si aggira sui 2.843.25 (dal 2012 le loro prestazioni sono contabilizzate nella gestione ex-Inpdap dell’Inps), con una spesa complessiva di 67,5 miliardi per un importo medio pari a 1.828,27 euro. L’andamento deficitario dell’INPS sta in questa erosione contributiva della pubblica amministrazione verso l’Istituto, segnato tra l’altro da un numero elevato di pensioni di anzianità, e nel fatto che il peso di tutte le pensioni degli ex-dipendenti pubblici equivale al 25% dell’intera spesa previdenziale: 65 miliardi l’anno per solo 2,8 milioni di pensionati sui 21 milioni del globale INPS. Per non parlare poi delle cosiddette gestioni autonome cronicamente in perdita!
Dal 2012 ad oggi il buco nei conti INPS per l’incorporazione dei due enti previdenziali dei dipendenti pubblici e degli enti locali ammonterebbe ad oltre 90 miliardi di euro, nascosti nelle pieghe della contabilità generale e, pertanto, nominalmente ripianati attraverso la tassazione generale: una partita di giro!
Il peso della previdenza su PIL è dell’11%, meno della media europea, e non come rilevato dal FMI del 16%. Secondo Domenico Proietti, segretario confederale della UIL: “Non è vero che il sistema pensionistico italiano è in crisi, né tantomeno che non ci sono risorse per una revisione della Legge Fornero. Se in questi anni non si è provveduto a rendere più semplice l’accesso alla pensione è stato solamente perché lo Stato ha preferito utilizzare le risorse a disposizione per altri obiettivi. Ci sono paesi come Francia e Germania, dove per le pensioni si spende anche di più; non c’è motivo quindi per fare inutili allarmismi sul sistema previdenziale italiano”.
Lo Stato utilizza altrove le risorse per le pensioni. Proietti punta il dito contro gli ultimi governi, colpevoli di aver prelevato risorse dalle pensioni per destinarle ad altre poste di bilancio. In pratica, il pianeta Inps non è solo pensioni. L’istituto è l’ente erogatore dell’intero Welfare italiano. Oltre alle pensioni paga tutto il capitolo dell’assistenza (pensioni sociali, invalidità etc.), che non ha alle spalle entrate contributive ed è quindi a carico della fiscalità generale dello Stato. La quota di trasferimenti dal bilancio dello Stato all’Inps è in crescita da anni. Nella nota di variazione al preventivo 2015 la quota che lo Stato doveva versare arrivava a 101 miliardi, 5 miliardi in più delle previsioni precedenti.
Il deficit dell’INPS è dovuto, quindi, essenzialmente agli interventi non “istituzionali”, come l’assistenza, e al ripianamento delle contribuzioni che enti pubblici e locali e gestioni separate avrebbero dovuto versare. Altrimenti, avremmo un INPS col bilancio in attivo! E così, lo Stato, attraverso il prelievo fiscale, anziché utilizzare le somme introitate per gli “scopi” definiti dalle Finanziarie, utilizza quel “Tesoretto” a discrezione del governo. In un altro paese dell’Unione Europea si chiamerebbe “Distrazione di bilancio pubblico”, ma nessun tipo di magistratura, contabile e/o giurisdizionale, ha mai ritenuto di intervenire.
Per queste ragioni, sarebbe più corretta, conveniente e trasparente, e meno oppressiva fiscalmente, la scelta della “Libertà Previdenziale”, prima che l’Unione Europea, il FMI e la BCE ci riduca in polpette come ha già fatto con la Grecia.