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Chiesa e mafia, una ferita sempre aperta

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 Interrogarsi oggi sul rapporto tra Chiesa e mafia chiama in causa differenti piani di analisi. Occorre chiedersi il significato delle devozioni e dei riti religiosi, il ruolo svolto dalla “fede” dentro i contesti criminali; ma è indispensabile anche considerare le posizioni espresse dalla Chiesa nei confronti delle mafie sia nei pronunciamenti ufficiali delle gerarchie ecclesiastiche, sia nelle prassi pastorali sui territori, sia nel dibattito ecclesiologico.
Di cruciale importanza è infine l’approfondimento di alcune questioni sollevate dagli studi e sollecitate dalla cronaca; tra queste, il rapporto tra giustizia divina e giustizia terrena, tra pentimento e collaborazione, tra peccato e reato; la possibilità di elaborare una pastorale antimafiosa e il dibattito sulla scomunica per mafiosi e corrotti.
Punti nodali che chiamano in causa i non semplici rapporti tra Chiesa e Stato, con una Chiesa unita nei pronunciamenti ma incapace di esprimere, nella prassi, una linea di condotta unitaria.
Il legame tra ritualità religiosa e mafia è risalente nel tempo.
Col suo ricco corredo di riti e di cerimonie sacre, la religione offre agli “uomini d’onore” e alle loro donne certezze e modelli identificativi. Attribuisce sacralità all’organizzazione, prestigio all’autorità del capo; lenisce inquietudini e momenti di crisi, facendo da sostrato alla coesione del gruppo e agendo come agenzia primaria di produzione di senso.
Chiedersi, quindi, quale sia lo spazio oggi occupato dalla questione mafiosa nella pastorale della Chiesa cattolica e nel dibattito ecclesiologico, significa – come ha scritto Rosario Giuè – confrontarsi con una “ferita aperta”.
Pesano i silenzi dei ministri della Chiesa. Primo fra tutti quello della Conferenza Episcopale italiana sulle stragi di mafia degli anni ’90, certo non mosso dal desiderio di tener lontano dal regno di Dio il regno di Cesare; ben altra loquacità i vescovi italiani hanno, infatti, mostrato nel contrastare il referendum sulla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita.
Profonde le ferite aperte tra i cattolici dalla netta contrapposizione dell’Episcopato alla legge sul divorzio, nel 1974. Durissima l’opposizione della Chiesa, nel 1978, contro legge sull’interruzione di gravidanza che stava per essere approvata dal Parlamento.
Ciononostante, non sono in pochi a sostenere che il sacerdote debba limitarsi a curare lo “spirito” piuttosto che produrre un impegno concreto contro la mafia, offrendo utili scappatoie a chi riesce a conciliare pentimento religioso e fedeltà agli “amici” mafiosi.
Recentemente, poi, l’emergere di nuovi scenari chiede strumenti di analisi più raffinati.
Di fronte al processo di secolarizzazione che coinvolge anche le organizzazioni criminali si potrebbe ritenere, infatti, che le strade della chiesa e quelle della mafia si avviino a divenire davvero divergenti. La situazione, però, si mostra più complessa e accanto a indicatori di laicizzazione (si pensi a Matteo Messina Denaro che si professa esplicitamente ateo), permangono evidenti richiami a forme di pseudo-sacralità che fanno presagire come non imminenti sia l’abbandono dei simboli religiosi, sia il ricorso alla “fede” da parte dei mafiosi. L’accreditamento che le sacre liturgie offrono è difficilmente sostituibile con altra simbologia di analogo impatto e condivisibilità, ma anche se ciò avvenisse non sarebbe da considerare una vittoria, se la Chiesa non prendesse coscienza dell’ambiguità cui si espone finché rimane saldo il suo legame col potere.
E se nel documento del 2010 i vescovi italiani hanno ribadito l’opzione in favore dei poveri, per indirizzarsi concretamente su questo percorso occorrerebbe tranciare quell’alleanza coi potenti che ha reso possibile che l’Italia, culla del cattolicesimo, fosse anche culla di stragi e corruzione.
Lungo e travagliato l’iter che ha condotto la chiesa a dichiarare inconciliabili mafia e Vangelo. Difficile capire il perché di dubbi ed esitazioni che non si sono manifestati di fronte a problemi di analoga importanza, come aborto, divorzio, eutanasia. Tortuoso anche il percorso per la beatificazione di Padre Puglisi.
Nel frattempo Papa Francesco è tornato con rinnovata chiarezza a decretare la scomunica per “tutti” i mafiosi. È un tema sul quale la Chiesa aveva già dibattuto nel 1944, nel 1952 e nel 1982 esprimendo l’estensione ai mafiosi della scomunica verso “tutte le manifestazioni di violenza criminale”. Affermando nel 1994 “l’insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo” di “tutti coloro che, in qualsiasi modo, deliberatamente, fanno parte della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa”. Ribadendo tale opposizione nel 1996, nel 2010 e nel 2012.
Ma il papa è andato oltre in quest’operazione di chiarezza; celebrando con don Luigi Ciotti la giornata della memoria e dell’impegno nel 2014 e indossando la stola sacerdotale di don Peppino Diana; denunciando corrotti e corruttori che con le mafie fanno i loro affari.
«Scandaloso chi dona alla Chiesa ma ruba allo Stato», ha detto il papa, definendo la vita dei «cristiani e dei preti corrotti» «una putredine verniciata». Istituendo, infine, nel giugno del 2017, un gruppo di lavoro incaricato di “approfondire a livello internazionale e di dottrina giuridica della Chiesa” la questione della scomunica per corruzione e associazione mafiosa.
Di fronte a questo delicato crinale, l’auspicio è che la Chiesa non si spacchi ancora una volta, attratta dalle sirene del denaro e del potere, dilacerata da un confuso sentimento di pietas, aprendo salvifiche crepe all’esibita devozione di corrotti, collusi e mafiosi; che riesca a schierarsi dalla parte dei più deboli, non avendo timore di confrontarsi col cambiamento, impaurita da una “secolarizzazione” che ha già consumato quando ha accettato il mortale abbraccio coi potenti e i mafiosi.

Da mafie 


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