Finora erano rimasti due episodi separati. Prima c’era stata la strage alla stazione di Bologna, quella causata da bomba esplosa il 2 agosto 1980 nella sala d’aspetto di seconda classe provocando 85 morti e 218 feriti. Poi, quasi esattamente nove anni dopo, il 5 agosto 1989, a Villagrazia di Carini, in provincia di Palermo, era stato assassinato un agente di polizia di 28 anni, Antonino Agostino, e con lui era stata uccisa anche la giovane moglie, Ida Castelluccio, sposata poche settimane prima e al secondo mese di gravidanza.
Ora, a collegare i due eventi, c’è un documento al vaglio di due procure generali, Bologna e Palermo, che hanno avocato nei mesi scorsi le rispettive indagini. È il cosiddetto documento Bologna. «Si tratta di un documento trovato addosso a Gelli dalla polizia svizzera nel momento in cui venne arrestato in Svizzera», spiega Paolo Bolognesi, presidente tra i familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980, «e descrive una serie di pagamenti a strutture che sembrano essere strutture segrete o militari. I pagamenti, circa 14 milioni di dollari dell’epoca pagati in due tranche, furono fatti prima della strage e dopo la strage. La cosa incredibile è che su questo documento c’era la dizione “Bologna” e siamo stati noi familiari, per il tramite dei nostri avvocati, a chiedere un approfondimento. Finito agli atti del crac Ambrosiano, non è mai arrivato alla procura di Bologna in tutti questi anni. Questo la dice lunga sulla volontà di andare fino in fondo».
Oltre alle transazioni economiche, sul documento si parla di uno “capitano” sfregiato a cui consegnare un «piccolo acconto» di mille dollari. Per riconoscerlo, a una funzionaria di banca svizzera Licio Gelli diede una descrizione: «Piccolo, accento meridionale, biondo, naso largo, una cicatrice vicino all’orecchio sinistro». «Questa descrizione a noi ha lasciato perplessità», prosegue Bolognesi, «perché potrebbe essere “faccia da mostro”. Potrebbe, non lo sappiamo, e un approfondimento non sarebbe male».
Di certo, in attesa di approfondimenti sul capitano sfregiato, va detto che un “faccia da mostro” è esistito. Si tratta di Giovanni Aiello, un ex agente della squadra mobile di Palermo morto nell’agosto 2017 e che, a causa di una ferita in servizio, rimase sfregiato. Entrato in polizia nel 1964, ufficialmente nel 1977 venne dichiarato inidoneo al servizio, ma la sua storia non si interruppe perché il nome di faccia da mostro si è legato al fallito attentato dell’Addaura contro Giovanni Falcone, all’omicidio del vicecapo della squadra mobile di Palermo Ninni Cassarà, alla morte dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto Attilio Manca, alla fine fatta da un bambino, Claudio Domino, e alle stragi del 1992, che costarono la vita a Falcone e a Paolo Borsellino. Ma torna anche per l’omicidio di di Antonino Agostino e Ida Castelluccio.
Lo ha riconosciuto Vincenzo Agostino, il padre dell’agente assassinato, che lo vide prima del delitto. «Quando mio figlio era in viaggio di nozze, vennero nella nostra casa al mare di Villagrazia due individui che chiesero di Nino. Saputo che non c’era, se ne andarono, ma prima chiesi loro chi fossero. Si volta uno dei due e mi risponde: siamo colleghi. Questo personaggio era uno così brutto che a me mi sembrava uno dei falchi. Poi se ne andarono».
Vincenzo Agostino avrebbe incontrato di nuovo lo sconosciuto con la pesante cicatrice sul volto molto dopo. È accaduto un paio di anni fa, durante un confronto all’americana all’Ucciardone, a Palermo. «Questo uomo sfregiato, indicato da alcuni pentiti come uno che faceva attentati sui treni e nelle stazioni», dice il padre dell’agente, «aveva però i capelli tinti di nero, mentre l’avevo sempre visto biondastro. Me l’hanno fatto vedere nero. Perché? Io lo voglio sapere».
Ma ci sono altri aspetti che Agostino vuole sapere di Aiello e che sono al vaglio della procura generale di Palermo. Riguardano, tra l’altro, la consistenza del suo patrimonio. «Come mai», chiede il padre del poliziotto assassinato, «ha beni, immobili, conti correnti e molto altro? Da dove vengono questi soldi? Io desidero e voglio saperlo perché una ricchezza del genere a un agente di polizia non l’ho mai vista».
Infine, a legare la strage alla stazione di Bologna al delitto Agostino-Castelluccio, un appello incrociato. «A Paolo Bolognesi voglio dire di non arrendersi», ha affermato Vincenzo Agostino. «Prima o poi troveremo senz’altro qualche magistrato che vuole fare chiarezza. Dunque a Bolognesi dico dico di non arrendersi, di scavare e di cercare ancora verità. Lo stragi di Stato non devono esistere».
Di rimando, ha risposto il presidente dell’associazione vittime del 2 agosto 1980: «Questo è un Paese che non ha mai fatto i conti con le stragi. Quando è andata bene, si sono scoperti gli esecutori, ma non si è andati avanti verso i mandanti. Ora, se non riusciamo a sapere e a conoscere fino in fondo chi ha utilizzato questa strategia complessiva, ci troviamo di fronte a un pezzo di storia del nostro presente che non conosciamo e questo creerà sempre dei problemi al nostro Paese».