Quarant’anni e un giorno: i murales di Via Mancinelli raccontano una ferita ancora aperta, una pagina che Milano non dimentica. C’è sempre movimento, in questa stradina del Casoretto. C’è chi, sessantenne, saluta Fausto e Iaio con una punta di nostalgia, abbracciando i vecchi compagni e –in un certo senso- anche la propria gioventù. C’è chi, tra i millenials, ne ha sentito parlare dai genitori ed è qui perché non riesce a spiegarsi come sia possibile morire a diciott’anni, uccisi in un agguato “che sembra uscito da una serie tv”. C’è Antonella D’Ambrosio, compagna di classe di Fausto e amica di Iaio, che ricorda il loro omicidio “come un momento terribile, di rottura” e che continua a portare in giro la mostra/inchiesta che gli studenti dell’artistico Hayez di Milano produssero come risposta all’agguato in cui persero la vita i due compagni. Ci sono le mamme del Leoncavallo, e tanti milanesi. Lo stesso sindaco Beppe Sala è passato da Via Mancinelli, pochi giorni fa, portando un fiore: “Io avevo vent’anni, più o meno la loro età, e ricordo bene quella giornata” ha scritto su Facebook “la loro passione politica e l’impegno per una società più giusta ed equa rimangono parte integrante dei valori, della storia e del presente di Milano. La città non vi dimentica”.
Tra la gente che sosta in Via Mancinelli c’è sempre e solo una sola domanda: chi ha ucciso Fausto e Iaio, e perchè? La giustizia italiana, archiviando il caso nel 2000, non ha individuato i responsabili ma certificato che l’agguato ai due militanti del Leoncavallo è partito da ambienti dell’estrema destra romana. “E’ stato un omicidio politico” ci racconta Maria Iannucci, sorella di Iaio “Fausto e mio fratello sono stati attirati qui, è stato qualcosa di organizzato per colpire proprio loro due. Sono stati chiamati qui e con fiducia ci sono venuti. Il loro omicidio ha avuto anche il risultato di destabilizzare una parte di quella generazione che credeva in una politica bella, e che si occupava della propria città”. Quella contro Fausto e Iaio è stata una vera e propria esecuzione: otto colpi a freddo, partiti dallo stesso killer, protetto da un commando di altri due, forse addirittura quattro uomini, che hanno operato con velocità e preparazione da professionisti. Qualcosa di decisamente sproporzionato per due diciottenni che si stavano occupando di un dossier sui piccoli pusher del quartiere Casoretto.
Chi da anni lotta per la verità e ha raccolto in un libro tutte le carte processuali (L’assassinio di Fausto e Iaio, Redstar Press, 15 euro) insiste: l’omicidio, avvenuto 48 ore dopo il rapimento Moro in un’Italia letteralmente blindata, poteva essere commissionato per scatenare una violenta reazione a sinistra. “Ci si aspettavano negozi rotti, vetrine bruciate, scontri di piazza, magari un morto” racconta Gigi Mariani, storico avvocato di parte civile delle famiglie “in modo tale da poter invocare l’introduzione di leggi speciali, e magari anche la sospensione delle garanzie costituzionali”. L’archiviazione dell’ultima indagine contro i neofascisti romani Claudio Bracci, Mario Corsi e Massimo Carminati non chiude la porta a possibili riaperture, se dovessero arrivare nuove testimonianze. Ed è proprio agli ambienti dell’estrema destra romana che si rivolge l’appello di Saverio Ferrari, coautore del libro: “Sono in tanti a sapere di questa storia, confidiamo che prima o poi qualcuno, facendosi un esame di coscienza, dica esattamente chi è stato, con quale strategia, e finalmente si assuma le sue responsabilità”. In Piazza Durante, a cento metri dal luogo dell’omicidio, una targa ricorda Fausto e Iaio. Si legge “per sempre ragazzi”. Maria Iannucci sta cercando di trasformare il dolore di quarant’anni in una forza positiva, una sorta di rinascita. “Iaio sarebbe stato un creativo, anche Fausto credo. Creativi e non perfettamente omologati: allora era davvero possibile. Sono dei simboli” conclude Maria “rimarranno per sempre ragazzi, come tanti altri protagonisti di vicende insolute della storia italiana”.