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Caporalato. Un business che non conosce sosta né teme le inchieste

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E’ un mondo brutto, sporco, che gronda sudore e rabbia per un verso. Ma è un mondo ricchissimo costellato di Ferrari nel pagliaio,   evasione milionaria e chili di droga trasportati sotto la frutta per altro verso. Le due facce dell’agricoltura pontina che  Marco Omizzolo racconta da anni e che lo hanno reso scomodo. Bersaglio. Il giorno in cui ha ricevuto l’ultimo   avvertimento, a distanza di un anno e mezzo da un altro episodio simile, aveva appena scritto un articolo per il Venerdì   di Repubblica sulla condizione dei braccianti. Il suo pallino, il suo cruccio, l’oggetto di uno studio sociologico e di un   lavoro giornalistico che da anni descrivono la situazione nell’agro pontino, purtroppo replicata in tanti altri polmoni   agricoli del Paese, dove il lavoro ai braccianti stranieri viene pagato meno di due euro l’ora e dura fino a 12 ore al  giorno, senza sosta. Omizzolo ha parlato di agromafia e caporalato e lo  ha fatto  da molto prima che intervenisse una legge contro i   caporali, entrata finalmente in vigore un anno fa. E la sua è un’analisi che, a guardar bene, non riguarda la criminalità   organizzata ma un’intera economia criminale che ruota attorno alla filiera dei prodotti agricoli in Italia, che sono a    loro volta una delle migliori voci del pil. Le organizzazioni controllano in modo metodico e capillare tutto: Omizzolo lo   ha scritto di nuovo ieri sul blog Mafie di Attilio Bolzoni per Repubblica. Un business che non conosce sosta né teme le inchieste,   che pure sono state moltissime. Ndrangheta e mafia “vigilano” sui mercati, gestiscono il grosso del traffico su gomma,   impongono i prezzi e mettono in piedi frodi sui fondi dell’Unione Europea per l’agricoltura. Più in basso ci sono loro, i   braccianti stranieri, l’ultimo anello della catena dello sfruttamento. Se si guarda solo a Latina, un intero settore si   regge su circa ventimila lavoratori senza diritti che hanno anche condizioni di vita assurde, abitano nelle baracche che   l’imprenditore mette a loro disposizione, quando va bene. L’affitto viene pagato a rate detraendolo dallo stipendio già   bassissimo. E intanto si va  verso un gradino ancora più basso: la questura indaga sull’utilizzo come braccianti di alcuni   migranti ospiti di centri di accoglienza autorizzati. Lavoratori che costano ancora meno, perché aggiungono una misera   paga alla quota giornaliera prevista per i centri di accoglienza. Tutto illegale, ma tutto fa business.Chi dice che  l’agricoltura pontina è l’oro verde di quella provincia non sbaglia, perché è la voce che cresce di più nelle  esportazioni e il cliente migliore è la Germania, seguita da un uotsider, la Polonia. Un paio di processi e almeno   quattro inchieste dicono anche altro: da venti anni il trasporto di ortofrutta e fiori da e per la provincia di Latina è   un eccellente vettore di stupefacenti, quintali di hascisc dalla Spagna viaggiano in cassoni stipati sotto carichi di   mandarini. Mentre la cocaina è nascosta nei tir che trasportano gerbere da Latina ad Amsterdam e ritorno: è scritto nel   processo ai fratelli calabresi Crupi, in via di definizione in queste ore davanti al Tribunale di Latina. Il pm ha chiesto   122 anni di carcere. Ed è solo l’ultimo processo che mette in connessione droga e prodotti agricoli. Il mondo dei coloni,   dei contadini, degli allevatori messo all’angolo da una cricca solida e spietata di clan che fanno affari con   l’agricoltura violando regole e diritti e aggiungendo molta droga.


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