Le piazze che l’8 marzo in Italia si sono riempite di donne, di rabbia, denuncia, protesta, non sono molto lontane da quelle degli Stati Uniti. Sono solo meno rappresentate. Ovunque, dalle grandi città a quelle di provincia, cortei partecipati di donne e di uomini, hanno detto che la misura è colma. Che non sono più tollerabili molestie e ricatti sessuali nei luoghi di lavoro, precarietà e scandalose disparità nei salari e nelle carriere.
Dal caso Weinstein, al movimento #metoo negli Stati Uniti, in America Latina e in Europa, è accaduto l’impensabile: che a partire dalla questione più scabrosa e nascosta, quella delle molestie sessuali, sia nata un’onda di indignazione collettiva che ha reso socialmente inaccettabile l’abuso di potere maschile sul corpo delle donne. Alla radice c’è il rapporto di potere diseguale tra uomini e donne, fonte di ogni disparità e abuso, ed è per questo che il movimento di protesta che si è messo in marcia è globale, non conosce limiti e confini.
In Italia si ha la sensazione che i media facciano fatica a rappresentare questa realtà: la protesta delle donne e le ragioni che ne sono alla base. Se negli Stati Uniti le inchieste giornalistiche hanno aiutato a scoperchiare gli abusi, a sostenere le denunce, a dar conto delle conseguenze, in Italia ci si è limitati per lo più a riportare cosa succedeva all’estero. Ci sono per fortuna testate giornalistiche più impegnate a dare corretta e adeguata rappresentazione alla questione di genere. Ma non è ancora sufficiente.
In Italia, si sono levate voci importanti che hanno lanciato una chiamata pubblica a tutte le lavoratrici: le centinaia di firme del manifesto “dissenso comune”, nel mondo dello spettacolo, e le 450 della lettera aperta delle giornaliste, chiedono con forza di cambiare rotta. La pratica delle molestie e dei ricatti sessuali sul lavoro deve finire e vanno colmate le profonde disparità di trattamento, stipendio, carriere.
A partire da questa denuncia, organizziamo un primo appuntamento alla Federazione della Stampa, il 14 marzo dal titolo “Cronache del dissenso: molestie sessuali, media, disparità”, costruito con una molteplicità di soggetti (Cpo Fnsi, GiULiA Giornaliste, Ordine dei Giornalisti del Lazio, Articolo 21), come momento di confronto aperto con direttori e direttrici, professioniste e firmatarie del manifesto Dissenso Comune.
Come giornaliste vogliamo unire le forze con tutte le donne, di ogni ambito lavorativo e professionale, e costruire una iniziativa collettiva per rendere l’Italia un paese più equo, giusto, solidale. Vogliamo lottare per colmare il divario in redazione e sostenere le colleghe che vorranno denunciare abusi. Vogliamo dall’informazione più inchieste, per rompere la macchina della rimozione e del silenzio sulle molestie sessuali, e per illuminare la realtà delle discriminazioni. Vogliamo più “cronache del dissenso”.
Alessandra Mancuso
Presidente Cpo Fnsi