Sorpresa: i populisti non fanno più paura ai cosiddetti “poteri forti” italiani. Sergio Marchionne dall’importante palcoscenico del Salone dell’auto di Ginevra ha annunciato: «Salvini e Di Maio non li conosco, non mi spaventano». Anzi, l’amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles, un tempo acceso estimatore di Matteo Renzi, ha rincarato: «Paura del M5S? Ne abbiamo passate di peggio». La svolta politica degli imprenditori italiani è forte. Il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia ha alzato un significativo disco verde verso i cinquestelle: «Sono un partito democratico, non fanno paura».
Il cambio di rotta, con alcune cautele, è totale in nome del realismo. Ma c’è anche chi si oppone come Luca di Montezemolo. L’ex presidente della Fiat, della Ferrari, della Confindustria e dell’Alitalia, si è detto «molto sorpreso nel vedere come esponenti importanti della cosiddetta classe dirigente salgano sul carro del vincitore prima ancora che questo abbia cominciato a muoversi».
Il M5S di Luigi Di Maio e la Lega di Matteo Salvini hanno trionfato nelle elezioni politiche del 4 marzo. Hanno messo da parte le antiche battaglie contro l’establishment, anzi hanno fatto a gara nel partecipare a convegni ed incontri con gli imprenditori e nell’ascoltare i loro problemi. Risultato: la sinistra e il centro-sinistra sono stati addirittura divorati dai due partiti dall’anima antisistema. I pentastellati ottengono il 32,7% dei voti: diventano il primo partito italiano. Il Carroccio vola al 17,4%, sorpassa di 3 punti Forza Italia di Silvio Berlusconi e diventa il principale partito del centro-destra arrivato al 37% dei consensi.
Per il Pd e il centro-sinistra, invece, è un disastro: il primo crolla al 18,7%, la coalizione al 22,8%. Matteo Renzi prima si dimette da segretario del Pd ma congela l’uscita a dopo la formazione del nuovo governo, poi per le proteste decide di formalizzare l’addio lunedì 12 marzo, il giorno della direzione del partito. Anche per la sinistra radicale le elezioni sono una disfatta: Liberi e Uguali prende appena il 3,4%.
Hanno sfondato le promesse elettorali, dirompenti e per molti versi contraddittorie, dei cinquestelle e dei leghisti: il reddito di cittadinanza, l’abolizione della legge Fornero sulle pensioni, la cancellazione dello Jobs Act, il forte taglio delle tasse, il rimpatrio degli immigrati africani ed asiatici, le consistenti assunzioni di agenti di polizia per garantire la sicurezza, la ventilata uscita dell’Italia dall’euro e dalla stessa Unione Europea. Le tante e costosissime promesse e la battaglia euroscettica, anche se ammorbidita, hanno fatto trionfare Di Maio e Salvini.
Il M5S e la Lega hanno sfondato, però non hanno conquistato la maggioranza per governare. Nel Parlamento appena eletto manca una maggioranza politica omogenea per sostenere un nuovo governo. Così è scattata una strana competizione per la conquista di Palazzo Chigi tra i cinquestelle, sempre meno grillini ed antagonisti, e i leghisti, non più con la camicia verde padana di Bossi ma con quella della destra nazionalista di Salvini.
Luigi Di Maio, abbandonata la politica del Vaffa e dell’opposizione ad oltranza di Beppe Grillo, promette “stabilità”, si candida a presidente del Consiglio e punta «al confronto con tutte le forze politiche». Davanti ha due possibili strade: un governo con il Pd o con il Carroccio. La prima strada sembra impraticabile, almeno con un Pd non derenzizzato. Il segretario democratico a termine boccia “gli inciuci” con i populisti e indica al Pd la strada dell’opposizione.
Ma per il giovane capo del M5S anche la seconda strada appare difficile da percorrere, perché Salvini vuole guidare un esecutivo con il centro-destra: «Il governo tocca a noi». Il segretario della Lega parla anche in terza persona per indicare la sua determinazione: «Ho fatto una campagna elettorale in lungo e in largo per Salvini premier».
I cinquestelle e i leghisti insieme raggiungono il 50,1% dei consensi, in termini numerici potrebbe essere possibile un esecutivo dei due populismi. Anzi, possono salire al 54,4% sommando il 4,3% incassato da Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, un altro partito populista di destra. Potrebbe far capolino il governo degli euroscettici. Salvini nei mesi scorsi aveva ipotizzato più volte un accordo con i grillini che ora scarta. Tuttavia anche l’esecutivo dei populismi temperati dalle svolte di governo resta una tentazione ardua da realizzare per gli ostacoli europei. La situazione è fluida, siamo appena all’inizio del braccio di ferro sul nuovo governo post Renzi.
Fonte: www.sfogliaroma.it