Il Pd? Esercito in rotta, Renzi generale sconfitto

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M5S? Vade retro. Chiamparino: Calenda segretario? Non è un concorso di bellezza. Franceschini si giustifica, Emiliano attacca Matteo. Orfini racconta amenità. E Scalfari fa il grillino

Di Alessandro Cardulli

Il Pd? Sembra un esercito in rotta con un generale che dice di aver subito una sconfitta, ma nel proprio intimo pensa di non avere alcuna colpa. La rotta della truppa è dovuta ai marescialli, ai sergenti, ai caporali. Ci scusino i militari se li accomuniamo alla truppa in fuga. E ci scusino anche i milioni di soldatini che hanno disertato, cercando nuove casematte o disertando le urne, le armi che si usano nelle battaglie elettorali. A dir la verità non c’è gioia, allegria, anzi, neppure fra coloro, quelli di Liberi e Uguali, che speravano in un risultato molto più consistente anche se giovani, nati da poco, addirittura in attesa di dar vita ad un nuovo partito della sinistra perché alla prova del voto si sono presentati con una lista elettorale. E davvero riteniamo sia una impresa non facile organizzare in poco tempo una campagna elettorale, preparare le liste, costruire rapporti nei territori con la “gente” come si dice, noi preferiamo parlare di cittadini. Ancora più difficile quando si è perso un bel po’ di mesi prima da mettersi in marcia aspettando un signore che si chiama Pisapia il quale voleva costruire un “campo progressista”, di fatto un sostegno a Renzi Matteo.

Dai Santi Apostoli tormentato percorso di Liberi e Uguali. Tempo perduto

Aveva fatto anche le prove con una manifestazione a Piazza Santi Apostoli a Roma. Lui e Bersani insieme sul palco. Nella piazza tanta gente e anche tante bandiere rosse ma Gad Lerner che “guidava” la manifestazione aveva annunciato dal palco che le tante bandiere andavano abbassate perché impedivano le riprese televisive. Dopo mesi di incontri e discussioni non se ne è fatto niente. Mdp, Sinistra italiana, il gruppo di Civati, dovevano prendere atto che Campo progressista era una invenzione o perlomeno un oggetto misterioso. Partiva così Liberi e Uguali affrontando un mare tempestoso. Senza un partito, difficile mettere insieme una lista, partire da zero, costruire un programma, affrontare il problema delle candidature. Si poteva fare meglio? Senza dubbio sì. Una cosa, anche nella insoddisfazione per il risultato mingherlino la decisione di dar vita a Liberi e Uguali, proprio dal disastro del Pd, trova conferma del coraggio e della passione politica che hanno animato tutti coloro che hanno fatto campagna elettorale, coloro che hanno dato il loro voto, dando vita ad una nuova  realtà politica. È stata anche una risposta ai tanti attacchi portati da Renzi e dalla sua truppa a coloro che hanno costruito Leu.

I voti persi dal Pd andati in gran parte a M5S. Scomparse la “regioni rosse”

Ricordiamo l’anatema del signorotto di Rignano che accusava  Leu di fare il gioco del nemico, sottraendo voti al Pd. In realtà Leu ha sottratto molto poco al Pd. Basta leggere i “rapporti” dell’Istituto Cattaneo secondo cui, dati alla mano, i voti persi dal Pd sono andati in gran parte a M5S e al corpaccione berlusconian-salviniano con accompagnamento meloniano. Gli analisti del Cattaneo parlano di fine delle  “Regioni rosse”.

Una riprova di quanto affermiamo, la rotta renziana, il fuggi fuggi, viene dallo spappolamento del Pd. E insieme dalla confermata arroganza del capo, che si dimette, ma rinvia l’atto, che vuole mantenere l’egemonia del partito anche se afferma nelle dichiarazioni a raffica, dice di voler solo ricoprire il ruolo di senatore semplice. Non è  vero, ci possono solo credere gli scriba. Vediamo per esempio come si colloca nei confronti dell’amletico “appoggio” a Di Maio e ai Cinque stelle oppure “opposizione dura”, nel caso in cui Mattarella affidi al leader degli “stellati” l’incarico di formare il governo. O perlomeno tenti. Nel Pd, le dichiarazioni di dirigenti, esponenti di primo piano, come Emiliano, il presidente della Regione Puglia, ma non solo lui, dicono che si possono andare a vedere le carte dei  pentastellati. Per esempio Chiamparino il quale ha già posto la sua candidatura a ricoprire il posto di segretario partecipando alle primarie che dovranno essere decise dalla direzione che si terrà lunedì in vista della convocazione della Assemblea nazionale. Primarie cui Renzi non ha detto che non parteciperà non essendo sua idea tornare a dirigere il Pd. Non solo, non ha neppure indicato, lui che come il prezzemolo sta ovunque, quando si dimetterà, quali sono i tempi del congresso. Non solo, avendo avuto sentore che non solo Emiliano sarebbe disponibile ad un rapporto con Di Maio, ma fra questi addirittura Franceschini, possibile candidato alla segreteria, ha fatto la voce grossa e la faccia dura: “Chi vuole portare il Pd a sostenere le destre o M5S lo dica in direzione lunedì”. Una minaccia? Ognuno scelga. Tanto che Franceschini  scrive in una nota: “Mi trovo costretto  a intervenire per smentire cose assurde che ho letto sui giornali. Allora, non ho mai pensato sia possibile fare un Governo con i 5 Stelle e tantomeno con la destra. Sufficientemente chiaro?”.

Fondamentale che dalla Direzione Pd esca una proposta collegiale

Andiamo avanti. Chiamparino annuncia la sua candidatura. Renzi anche a lui risponde facendo presente che il Pd deve “stare alla opposizione”. Chiamparino, presidente  della Regione Piemonte, dirigente di lungo corso dal Pci al Pd deve giustificarsi: “La mia posizione è molto semplice: i cittadini hanno decretato la vittoria dei M5s e , nel centro destra, della Lega. Spetta a chi ha vinto fare proposte per il governo del Paese. Noi non possiamo che collocarci all’opposizione, sapendo che l’opposizione non è l’Aventino, e che senza scomodare i padri costituzionalisti, il dialogo è uno degli elementi fondanti di qualsiasi democrazia”.  In punta di penna si diceva una volta fa sapere: “dialogo – aggiunge – che non va confuso in alcun modo con il sostegno a soluzioni di governo altrui, che sia M5s o tantomeno della Lega. Proprio per evitare interpretazioni che possano alimentare divisioni al nostro interno, accentuando l’immagine di litigiosità del partito, come ho già avuto modo di dire – conclude – è fondamentale che dalla direzione di lunedì esca una proposta collegiale di gestione”. Proprio quello che Renzi Matteo, come ha detto più volte quando ha parlato dei “caminetti”, gli inciuci, non vuole. Lui è lui e gli altri… ricordate cosa diceva il marchese del Grillo. A sentir parlare di “collegialità” al Matteo viene la rosolia, a dir poco. Sempre il Matteo dopo aver smentito di aver detto che non si sarebbe presentato ai colloqui con il presidente della Repubblica per discutere delle possibili candidature a capo del governo perché andava a sciare si dice non abbia preso bene l’annuncio della iscrizione del ministro Calenda al Pd. Nel suo clan gli hanno fatto presente che potrebbe trattarsi di una idea di Franceschini, noti sono i rapporti amichevoli fra i due ministri, e nota è la sua aspirazione a diventare il numero due del partito cui Renzi si è sempre opposto. Ma la iscrizione di Calenda al Pd, in gran fretta, gli consente di partecipare agli organismi dirigenti e a seguire così il percorso delle  primarie. L’accoppiata con Franceschini potrebbe diventare una realtà.

Il presidente del Piemonte: la sinistra riformista è in crisi

Chiamparino, candidato in pectore, sente odor di bruciato e mette subito i puntini sulle i. “Calenda segretario? Non si tratta di fare un concorso di bellezza o di bravura ma di dare un segnale che i vertici tutti, a partire dal segretario, hanno capito che c’è una responsabilità di ognuno e collettiva in questa sconfitta”. E già che c’è torna sulla “gestione collegiale” del partito e aggiunge anche la parola “unitaria”.  Dice: “L’importanza e la delicatezza della fase necessita di una gestione collegiale e unitaria del partito”. “Bisogna dare un segnale di unità – afferma- perché uno degli elementi della sconfitta è proprio il clima di litigiosità che ha disamorato molti. Inoltre bisognerà impostare un congresso che non dovrà essere una competizione televisiva, ma fondato su un ragionamento di fondo sugli elementi che possono identificare una forza di sinistra riformista e popolare in Europa. Perché la sinistra riformista è in crisi”. E finalmente Chiamparino mentre Renzi Matteo e i suoi cortigiani in ripetute dichiarazioni esaltano la politica del governo, quella del signorotto di Rignano, perché ora anche Gentiloni viene visto come un pericoloso concorrente per il futuro “senatore semplice”, pronuncia la parola crisi. Ma subito rimedia Orfini Matteo, quello che giocava a biliardino con Matteo, l’amicone che doveva tenera le briglia alla direzione che lui presedeva.  A leggere quello che dice c’è da non crederci. “Abbiamo perso – dice – allora vuol dire che abbiamo sbagliato”. Ma subito ci ripensa. “Noi non abbiamo perso – dice – perché abbiamo governato male: abbiamo portato il paese fuori dalla peggiore crisi degli ultimi decenni, e portato a casa leggi e misure che in altri momenti storici avrebbero fatto gridare al miracolo. Certo ci sono stati anche errori, per carità. Ma il saldo è sicuramente positivo. Non abbiamo nemmeno perso perché lo abbiamo comunicato male. Siamo stati sconfitti culturalmente e politicamente, non abbiamo saputo convincere il paese a superare i propri timori. Ha vinto chi ha puntato sulla paura e sulla rabbia. Ha perso chi ha provato a scommettere sulla fiducia nel futuro”. Insomma se il Pd ha preso una batosta come mai era successo nella storia dei vari passaggi dal Pci  fino al Pd, la colpa è sempre di qualcun altro.

Emiliano: al momento non ci  sono leader  Pd, solo chi stava con Renzi e chi contro

A Orfini si rivolge Emiliano affermando che “il congresso” del Pd “deve essere molto rapido, non può essere molto diluito nel tempo”. Pensa che  in questo momento “leader del Pd non ce ne siano”. “Renzi – sottolinea – non aveva costruito alcuna leadership alternativa alla sua. Erano una serie di persone che stavano con lui e quelli che stavano contro di lui”. “Né gli uni né gli altri possono arrogarsi il ruolo di essere leader del partito”. “Da questo punto di vista – ha proseguito – credo che la procedura congressuale vada accelerata al massimo perché bisogna immediatamente trovare una autentica leadership del partito” mettendo al centro della discussione, “se è possibile, anche il ruolo del Pd in futuro”.

E Scalfari, pentito, fa il grillino

“Tra Salvini che è quello di prima e Di Maio che sembra radicalmente cambiato sceglierei Di Maio”, ha detto il fondatore di ‘Repubblica’, Eugenio Scalfari, ospite a ‘Di martedi” su La7. Scalfari, che durante la campagna elettorale aveva suscitato un dibattito affermando che avrebbe votato per Berlusconi pur di fermare il movimento 5 stelle, rispondendo alle domande di Giovanni Floris ha esposto una sua diversa riflessione: “Se M5s diventa la sinistra italiana voterò per loro”, ha affermato Scalfari, e ha osservato che M5s “non è più un movimento è un partito”.

Fassina (LeU): non è da escludere il confronto con il M5S

Sui rapporti con il M5S interviene Stefano Fassina, deputato di Liberi e Uguali, il quale dice che “il Pd non dovrebbe escludere il confronto con il M5S qualora dovesse aprirsi in Parlamento tale possibilità per dare un governo al Paese. Gli elettori si sono espressi in modo chiaro, anche larga parte di quel popolo che dava fiducia alla sinistra: il M5S è di gran lunga il principale interprete di una domanda di alternativa che, nelle sue contraddizioni e ambiguità, contiene anche evidenti elementi progressivi. Giocare al tanto peggio tanto meglio sulla pelle degli italiani o contribuire indirettamente a spingere a destra il governo dell’Italia, non aiuta la ricostruzione della sinistra di popolo, a partire dal lavoro”.

Da jobsnews


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