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Mafia, un fenomeno di classi dirigenti

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di Franco La Torre

Il PCI – il partito nel quale Pio La Torre era cresciuto, si era formato e, grazie al quale, aveva esercitato la sua azione politica – nella percezione dell’opinione pubblica, intesa in senso ampio, anche di quella parte che in esso non si identificava o non lo votava – era un partito antimafia.
Poi, nelle sue evoluzioni, è andato, via-via, indebolendo quel fattore genetico, che lo distingueva dagli altri partiti. Il risultato è stato un lento ma progressivo appiattimento su posizioni, che lo rendevano simile agli altri, che non potevano, dal canto loro, non dirsi antimafia, almeno a parole. Affermare il contrario, ormai, era diventato un reato, iscritto nel codice penale all’articolo 416 bis.
Per la verità, nel recente passato, qualcuno, dall’alto della sua carica politica e del ruolo istituzionale ricoperti, ha affermato la sua simpatia e la sua stima per quel boss, da lui assunto con funzioni di stalliere e che aveva avuto accanto per anni, sottolineando il senso di riconoscenza per i servigi ed i vantaggi ottenuti. Le reazioni? Commisurate alla trasformazione genetica.
Il motivo? Secondo me, sta nella scelta politica di considerare prioritaria l’azione repressiva, da parte di magistratura e forze dell’ordine. Una scelta che, nonostante l’eredità rivendicata, appare ignara della natura del sistema di potere politico-mafioso, un fenomeno di classi dirigenti, come lo ha definito mio padre, un sistema in grado di rigenerarsi, perché alimentato dagli stessi interessi che difende. Interessi di natura economica e politica, ispirati da una logica di conservazione dei propri privilegi, in grado di reagire alle istanze di progresso, provenienti dalla società, quando queste minacciano la coesione e gli pseudo valori di quel sistema di potere,  la sua capacità di accumulare profitti e di influenzare il processo decisionale.
Una forza progressista non può rinunciare, sempre che non faccia strame delle sue capacità di analisi, proposta ed azione, ad un lavoro costante, che miri a smantellare o, per lo meno, indebolire l’avversario, quelle forze della conservazione, quelle classi dirigenti, di cui la mafia è un fenomeno. Specialmente, quando in gioco è la piena applicazione della nostra Costituzione democratica.
A cosa mi riferisco?
Dove il sistema di potere politico-mafioso è radicato, non si vota liberamente, perché cosa e chi bisogna votare lo decide il boss politico-mafioso; non si esercita il diritto al lavoro, perché il lavoro lo procura il boss; non si fa impresa liberamente, perché le imprese o sono del boss o pagano il pizzo; non viene rispettato il diritto alla salute e a vivere in un ambiente sano, perché i dirigenti delle Asl, nominati dal boss, servono a favorire i suoi affari e non la salute pubblica, mentre l’ambiente viene considerato una discarica; tanto meno quello alla sicurezza, visto che la violenza armata è strumento che il boss privilegia; per non parlare del diritto ad informare ed essere informati, nel ricordo di tanti giornalisti uccisi nell’esercizio della loro professione.
Il termine mafia non deve essere usato in maniera estensiva ma comprende tutti coloro che esercitano il potere nelle sue varie forme e manifestazioni, secondo le modalità mafiose.
Mi tornano in mente le parole di mio padre:
“L’incessante ricerca del collegamento della mafia con i pubblici poteri presuppone, inoltre, l’ipotesi e l’interpretazione che non ci sia solo nella mafia un bisogno di stabilire collegamenti con i pubblici poteri, ma anche un bisogno dei pubblici poteri a stabilire collegamenti con la mafia. Cioè, tra le due parti vi è un rapporto di reciprocità.
La mafia non è un fenomeno di classi subalterne destinate a ricevere e non a dare la legge, e quindi escluse da ogni accordo di potere, ma è un fenomeno di classi dirigenti.
I membri della mafia rappresentano una sezione niente affatto marginale delle classi dominanti, i cui interessi possono anche entrare in contraddizione, nello svolgimento dei fatti, con aspetti dell’attività della mafia stessa.
Noi concepiamo la lotta alla mafia come un aspetto della più generale battaglia di risanamento e rinnovamento democratico della società italiana”.

(19 – continua)


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