Se l’è vista davvero brutta, povero Frizzi! Ha rischiato di non arrivare nemmeno a festeggiarli questi sessant’anni, a causa dell’ischemia cerebrale che qualche mese fa ne ha messo a repentaglio la vita. Per fortuna, però, il suo fisico ha resistito, la ripresa è stata buona ed è potuto tornare in televisione uno dei migliori presentatori che la RAI abbia saputo formare negli ultimi quarant’anni.
Penso a Fabrizio Frizzi, infatti, e mi tornano in mente alcune memorie d’infanzia: la conduzione di una delle puntate settimanali di “Luna Park”, i giochi di “Scommettiamo che…?”, l’ironia tagliente ma sempre all’insegna del garbo e del buongusto che lo contraddistingue, rendendolo una persona gradevole e pressoché unanimemente apprezzata.
Lo ricordo anche in “Non lasciamoci più”: una simpatica fiction che andò in onda nel ’99, nella quale il nostro vestiva i panni di un avvocato. Un personaggio versatile, dunque, in grado di cimentarsi con successo in vari ambiti dello spettacolo e di entrare nelle case degli italiani in punta di piedi, senza mai stancare, senza mai pretendere di imporre il proprio stile, facendosi amare proprio per i suoi toni garbati e per la sobrietà del suo modo di porsi.
Vi confesso che ho tremato quando ho appreso la notizia del suo malore: ho tenuto che non ce la facesse e mi sono interrogato su quanto possa essere meravigliosa ma, al tempo stesso, ingiusta la vita, regalando ad un uomo prima il massimo successo e poi una pugnalata di queste proporzioni.
È stata, pertanto, una piccola gioia personale sapere che Frizzi sarà ancora a lungo tra noi, che continuerà a condurre delle belle trasmissioni in RAI, che quei brandelli d’infanzia che ogni tanto si ripresentano nella mia testa sono ancora qui, che il tempo che passa lascia, per fortuna, anche qualche traccia indelebile e che la magia di una certa tivù, oggi purtroppo in via d’estinzione, è ancora in grado di resistere alla nouvelle vague dell’urlo e della violenza verbale insensata.
Mi fa piacere pensare a Frizzi come a uno degli ultimi Mohicani di un servizio pubblico in cerca di identità, il simbolo di una RAI in cui davvero trovano posto i migliori e non soltanto quelli che riescono meglio di altri a lasciare il pelo ai gusti imbarbariti del pubblico.
E allora, caro Frizzi, auguroni e un grande in bocca al lupo! Che la vita le riservi altre gioie e altre grandi soddisfazioni: se le merita.
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