Non c’è dubbio che, di questi tempi, la questione giovanile sia una delle più importanti e dibattute tanto nell’opinione pubblica quanto fra gli addetti ai lavori. Mai come oggi, infatti, le nuove generazioni incontrano difficoltà inedite nell’entrare nel mondo del lavoro, nel costruirsi un futuro, nel mettere su una famiglia e nel giungere ad una piena cittadinanza, basata sulla possibilità di determinare in prima persona il corso delle vicende del Paese. Una generazione, la mia, che alcuni osservatori hanno definito, con un eccesso di pessimismo, “perduta”.
Non è così, tuttavia il rischio che lo diventi è alto. Un paese in cui i dati ISTAT ci dicono che meno di sei giovani su dieci trovano impiego a tre anni dalla laurea, in cui molti ragazzi restano in casa fino a 35 anni, in cui il salario medio di un giovane difficilmente supera i mille euro e in cui le prospettive pensionistiche sono pressoché nulle è, infatti, un paese gravemente malato. Ciò nonostante, abbiamo a che fare con la generazione, complessivamente, più colta, aperta e disposta al sacrificio che si ricordi a memoria d’uomo; una generazione che si fa riconoscere e apprezzare nelle migliori università del mondo; una generazione che avrebbe solo bisogno di essere valorizzata da un’Italia che, invece, continua a soffocare sotto la cappa del “presentismo” e di una politica incapace di pensare al domani.
Fatto sta che la questione giovanile non è solo italiana: è mondiale. Basti pensare a ciò che è accaduto negli Stati Uniti con i sostenitori di Sanders alle primarie democratiche che non hanno votato Hillary Clinton alle elezioni o a ciò che è accaduto nel Regno Unito, dove i giovani hanno votato prevalentemente a favore del remain, salvo essere clamorosamente sconfitti dai sostenitori del leave in quanto incapaci di mobilitarsi in massa per scongiurare il loro peggiore incubo. E guai a sottovalutare i giovani socialisti francesi che hanno incoronato Hamon alle primarie contro il centrista Valls per evitare che l’addio dei “disgustati” lasciasse spazio unicamente ai “disgustosi”. E non fa niente che le elezioni le abbia vinte Macron: la questione giovanile rimane e crediamo che il neo-presidente francese sia il primo a sapere che la maggior parte degli under 30 ha votato per Mélenchon e che molti di loro non lo hanno sostenuto nemmeno al secondo turno, nemmeno di fronte allo spettro di Marine Le Pen.
Quanto all’Italia, se pensiamo che il Partito Democratico è stabilmente il primo partito solo fra i pensionati mentre il M5S, fra i giovani, supera il 40 per cento, ecco che abbiamo chiaro il quadro di un malessere che se non verrà adeguatamente affrontato dalle forze politiche tradizionali, finirà con lo spazzarle definitivamente via, in alcuni casi mettendo a rischio la tenuta stessa della democrazia e delle istituzioni.
Quest’opera è un lungo viaggio tra i giovani: dai jihadisti che si fanno saltare in aria o compiono attentati devastanti come quelli contro la redazione di “Charlie Hebdo” o il “Bataclan” a Parigi ai ragazzi del ’99 di oggi che si apprestano ad andare all’università mentre il destino dei loro coetanei nati un secolo prima era quello di andare a morire sulle montagne e nelle trincee della Prima guerra mondiale, fra colpi di mortaio e malattie d’ogni genere.
Per non parlare poi della Gioventù hitleriana e della gioventù fascista, dei combattenti franchisti e di quelli anti-franchisti nella Guerra civile spagnola, dei partigiani e dei repubblichini di Salò, dei ragazzi dell’immediato dopoguerra e dei giovani degli anni Sessanta che sfrecciavano in Lambretta sulle note dei Beatles e dei Rolling Stones mentre i loro coetanei americani e francesi sognavano la rivoluzione nelle università di Berkeley e della Sorbona, fino ad arrivare al terrorismo rosso e nero degli anni Settanta, alla generazione del riflusso degli anni Ottanta, quando l’individualismo prese il posto dei valori collettivi, ai ragazzi euro-entusiasti degli anni Novanta e ai Millennials, apparentemente senza speranza ma, proprio per questo, piuttosto combattivi e desiderosi di esplorare le nuove forme e i nuovi linguaggi della politica, magari al di fuori dei partiti ma senz’altro attivi nel volontariato o in associazioni come l’A.N.P.I.
Oltre un secolo di storia analizzato con gli occhi dei ragazzi: talvolta consapevoli, talvolta inconsapevoli ma sempre protagonisti del presente e del futuro.