L’idea di un “orto marziano” per ottenere direttamente in orbita prodotti ortofrutticoli di immediato consumo non è un sogno, ma una realtà. Il progetto, in corso di realizzazione da parte dell’Agenzia Spaziale Italiana, dell’Enea, che ha messo a disposizione i suoi avveniristici laboratori della Casaccia alle porte di Roma, e dell’Università di Milano, è in questi giorni sperimentato nella missione internazionale “Amadee 18” che vede cinque astronauti, fra i quali una donna, di varie nazionalità per quattro settimane impegnati in una zona desertica dell’Oman scelta per simulare l’esplorazione umana di Marte. Dai laboratori sperduti nel deserto del Sultanato della penisola arabica usciranno presto le piantine che un giorno saranno coltivate a bordo delle astronavi o della stazione internazionale attualmente in orbita. “Ci stiamo preparando ad andare su Marte e in Italia si fa la guerra ai vaccini”. A dichiarare esplicitamente il paradosso è il responsabile del laboratorio di biotecnologie dell’Enea, Eugenio Benvenuto, interpellato su questo ambizioso progetto al quale sta lavorando insieme con altri scienziati.
Sono quattro specie di micro verdure, fra le quali il cavolo rosso e il radicchio, appositamente selezionate perché sono in grado di completare il loro ciclo vitale in circa 15 giorni e garantiscono un corretto apporto nutrizionale alla dieta degli equipaggi in orbita. Spiega l’ing. Benvenuto: ”Oggi il rifornimento di cibi relativamente freschi avviene con un vettore che raggiunge la stazione orbitante con una certa regolarità. Ma si tratta di un viaggio di soli 400 km. Quando l’uomo sarà su Marte e ci vorranno sei mesi per andare e altrettanti per tornare e la permanenza sul Pianeta Rosso sarà forse di molti mesi se non di anni. Solo quanto saremo riusciti a produrre piante fuori suolo, le microverdure nate e cresciute con acqua riciclata e senza pesticidi o agrofarmaci potranno arrivare sulla tavola degli astronauti ad integrazione della dieta liofilizzata”.
Ma davvero andremo su Marte? E quando? In proposito lo scienziato dell’Enea non si azzarda a fare previsioni, anche perché i progetti sono tanti e diversi: gli americani stanno lavorando ad un tipo di vettore, i cinesi ad un altro, l’Ente Spaziale Europeo, l’ESA, è meno ottimista sui tempi, si parla del 2030 ma anche più in là. “ Noi certo non lo vedremo – dice Benvenuto – quel primo viaggio su Marte se lo godranno i nostri figli e nipoti”.
Ma oltre a essere un gradito omaggio agli astronauti le verdure nate nei laboratori dell’orto marziano rappresentano anche una prospettiva interessante nell’ambito della ricerca di nuove risorse di cibo per l’umanità terrestre. Oggi siamo sui sette miliardi di individui, nel 2050 saremo almeno dieci. Ci sarà cibo per tutti? La Fao ha recentemente lanciato un allarme per la scarsità dell’acqua e il degrado del suolo che già oggi minacciano molte colture in diverse parti del mondo. Quando saremo in grado di coltivare senza più essere condizionati dal suolo, quel giorno si potrà aumentare la produzione di cibo. Naturalmente l’ing. Benvenuto premette che si dovranno cambiare stili di vita e abitudini culinarie. E accenna all’appello che la Fao ha inviato ai governi perché prendano in considerazione l’eventualità di introdurre nell’alimentazione dei Paesi che già non lo fanno nuovi cibi, ad esempio gli insetti, ricchi di proteine e facilmente reperibili in grande quantità. Prevenendo le obiezioni sul disgusto che segue all’idea di avere in tavola un piatto di cavallette fritte dorate, lo scienziato precisa subito: “Ma si tratterebbe di farine, innocue alla vista, e comunque molto saporite”.
E’ solo questione di abitudine: gli insetti da sempre si mangiano in molti Paesi orientali, i francesi sono appassionati di escargot, le lumache, in Piemonte e in Sardegna è apprezzatissimo dagli intenditori un tipo di formaggio che brulica di vermini bianchi, considerati una vera leccornia. Il cibo del futuro, dunque, sarà questo? Intanto se ne comincia a parlare.