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Siria, la battaglia decisiva di Aleppo

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Di kiwan Kiwan

Per il settimo giorno consecutivo scontri violenti si susseguono nei quartieri della città di Aleppo tra i combattenti dell’opposizione e le forze militari del regime fedeli di Assad, entrambe le parti hanno portato i loro rinforzi nella città, per la «battaglia decisiva». Il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon, dal canto suo, ha esortato la Comunità Internazionale ad agire per fermare il «massacro» in Siria.

Ieri sono state uccise 87 persone in diverse parti della Siria. La battaglia va avanti nella città di Aleppo considerata il polmone economico della Siria; il centro per molti mesi era rimasto lontano dalla protesta e solo da circa tre mesi sono iniziate le manifestazioni di protesta, la settimana scorsa, poi, sono iniziati i combattimenti con l’annuncio da parte dell’Esercito libero siriano che era iniziata la «battaglia per liberare Aleppo». Gli scontri sono concentrati nei quartieri del Giardino del Palazzo e Salah al-Din, altri quartieri della città sono invece sotto il bombardamento dell’esercito e migliaia di abitanti hanno già abbandonato la città.

Centinaia di ribelli sono arrivati nei giorni scorsi ad Aleppo da tutto il nord della Siria, era il segno dell’imminenza di una battaglia considerata decisiva: da ieri lo scontro è in corso e diversi quartieri sono sotto il controllo dell’Esercito Libero Siriano.

Il regime vuole riconquistare la la zona, ora sotto il controllo degli insorti, situata tra il centro della città e l’aeroporto che è «nelle mani dei terroristi» secondo quanto affermano le forze di Assad.

Invece a Damasco dopo l’attentato che ha decapitato il vertice militare e politico del regime si sono svolti scontri nel quartiere di Alasali a sud della capitale. Secondo i comitati locali di coordinamento i proiettili di mortaio sono caduti sulla città soprattutto nel quartiere della Pietra Nera. Le ultime notizie confermano che le forze del regime hanno ripristinato il controllo sulla capitale durante gli ultimi giorni ad eccezione di alcuni settori dei quartieri che sono in mano ai ribelli e resistono.

Ieri il Ministero dell’Istruzione ha deliberato il rinvio degli esami in un certo numero di università in Siria, in particolare a Damasco e Aleppo, per una durata indeterminata. Da parte sua Amnesty International in un rapporto pubblicato mercoledì, ha chiesto sia all’esercito siriano sia all’opposizione di fermare le «esecuzioni sommarie», sottolineando che il ritmo delle esecuzioni è in crescita. Alla luce della continua escalation di violenza, metà dei membri della missione di monitoraggio internazionale ha lasciato Damasco, impossibilitati a svolgere le funzioni di monitoraggio del cessate il fuoco mai entrato in vigore dall’Aprile scorso. Da parte sua l’ assistente del Segretario Generale delle Nazioni Unite per le operazioni di pace a Damasco, Herve Ladsous, considera la riduzione del numero dei membri della missione di controllo come un modo per diminuire anche i compiti ad essa affidati e quindi il suo raggio d’azione. Oggi è arrivato a Damasco il nuovo comandante della missione di osservazione, il generale Babacar Gaye, che ha espresso la speranza che “che vinca la saggezza, e che vedremo la luce nel tunnel».

Dalla Bosnia, intanto, Ban Ki-moon ha lanciato il grido d’allarme «a tutto il mondo: non perdete tempo, unitevi, muovetevi agite ora per fermare il massacro in Siria». Le notizie proveniente dalla Siria parlano di «una imminente guerra civile dal ritmo accelerato».

Sul versante degli Stati Uniti, diplomaticamente, la Casa Bianca ha annunciato che un consigliere del presidente Barack Obama ha tenuto colloqui, «costruttivi», all’inizio della settimana con alti funzionari cinesi a Pechino, dove si era discusso in particolare della Siria, dell’Iran e della Corea del Nord, mentre a Teheran era arrivata una delegazione dalla Siria guidata dal Vice Primo Ministro Omar Ghalaoungi assieme a cinque ministri, per rafforzare la cooperazione tra i due paesi.

A Mosca, il Ministero degli Esteri ha condannato le recenti sanzioni approvate dall’Unione europea contro la Siria compreso le forniture di armi trasportati tramite navi e aerei, considerandolo un «embargo». Invece il Ministro degli Esteri Russo Sergei Lavrov, ha condannato la posizione degli Stati Uniti considerandola “giustificazione per il terrorismo” accusando Washington di non condannare l’attentato che ha ucciso quattro funzionari della sicurezza a Damasco il 18 luglio.

Mentre il Vice Ministro degli Esteri russo Gennady Gatilov ha affermato che il presidente Bashar al-Assad ha dato «garanzie certe » alla Russia che riguardano le armi chimiche immagazzinate i in un luogo di sicurezza, avvertendo ceh al contrario c’è il pericolo che queste armi finiscano «nelle mani dell’opposizione armata». Il regime siriano ha ammesso lunedì per la prima volta di possedere armi chimiche, sottolineando che non saranno utilizzate se non in caso di una aggressione esterna. Alcuni nazioni occidentali e Israele hanno avvertito la Siria sulle conseguenze dell’uso di questi armi.

A seguito del controllo da parte di gruppi di ribelli di alcuni valichi di frontiera con la Turchia, quest’ultima ha chiuso gli ingressi verso la Siria a partire da mercoledì per «motivi di sicurezza», secondo quanto ha reso noto il Ministero degli Affari Esteri. Ma il ministero ha anche sottolineato che la decisione non influirà sull’ingresso dei rifugiati provenienti dalla Siria. Da segnalare che il numero degli alti ufficiali dell’esercito siriano che hanno disertato e si trovano in Turchia, ha raggiunto il numero di 27. A Berlino un gruppo di lavoro di 50 dell’opposizione sta preparando una nuova costituzione per la Siria, in vista del post-Assad, con l’assistenza della Fondazione di Scienze e Politica. Il gruppo comprende ex ufficiali ed esperti legali, economisti e rappresentanti delle varie componenti religiose in Siria. Il Primo Ministro Turco Ragiab Tayeb Erdogan ha svelato che il presidente siriano Bashar al-Assad e il suo entourage stanno per lasciare il potere a partire dalla Siria, aggiungendo che “lì è cominciata la nuova era”. Erdogan ha anche sottolineato che la Turchia potrebbe agire contro i ribelli curdi all’interno del territorio siriano in caso di necessità, aggiungendo: “non permetteremo l’insediamento dei campi di gruppi terroristici nel nord della Siria per minacciare la Turchia. Siamo determinati di eliminare subito qualsiasi minaccia.

La dichiarazione di Erdogan arriva a seguito del movimento sul confine di gruppi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) ribelli in Siria, che avrebbero preso il controllo di diverse aree a nord del paese dopo il ritiro delle forze di Assad.

La crisi siriana ha infatti creato altri fattori di conflitto nella regione, e più recentemente ha determinato la crescente influenza dei sostenitori del PKK nel nord della Siria. Con il ritiro delle forze siriane dalle zone delle province di Hasaka e di Aleppo il Partito D’Unione Democratica (Curdo) ha ampliato la sua sfera d’influenza. Il Consiglio Nazionale Siriano, infine, ha accusato le autorità siriane di aver consegnato il potere alle forze politiche curde prima del ritiro per creare una sorta di tensione tra la Turchia e i curdi, ha anche accusato il Partito D’Unione Democratica di svolgere un ruolo di supporto a Assad nel reprimere le manifestazioni nella zona. Nel tentativo di prendere le distanze da queste accuse il Partito Unione Democratica ha annunciato che è parte integrante del movimento rivoluzionario Siria.


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