E’ ripreso per poche ore ieri a Istanbul il controverso processo contro un gruppo di giornalisti accusati di avere supportato il tentativo di colpo di Stato in Turchia del luglio 2016. Quando due degli avvocati degli imputati hanno chiesto di poter depositare agli atti la sentenza della Corte suprema dello scorso 11 gennaio, che aveva dichiarato incostituzionali le motivazioni dell’arresto dei fratelli Ahmet e Mehmet Altan e di Sahin Alpay che insieme alla giornalista Nazli Ilicak sono accusati di avere supportato la rete golpista, sono stati cacciati dall’aula e l’udienza è stata sospesa.
Il processo, che vede alla sbarra anche altri quattro colleghi, Ergin Cinmen, Figen Albuga Çalıkuşu, Ferat Çağıl e Melike Polat, riprenderà nel petizenzoatio di Silivri ed entro fine settimana è previsto il verdetto. Rischiano tutti l’ergastolo.
In molti temono sia quasi inevitabile dopo che il tribunale penale si è rifiutato, per la prima volta nella storia della Repubblica della Turchia, di dar seguito alla sentenza dell’Alta Corte.
Si è trattato solo dell’ultimo inequivocabile segnale che lo Stato di diritto nel Paese non esiste più.
Il procuratore nelle precedenti udienze aveva chiesto il carcere a vita per gli imputati accusati “di aver tentato di rovesciare il governo e l’ordine costituzionale”.
Ma l’accusa più paradossale è quella di aver inviato “messaggi subliminali” in vista del colpo di stato poi sventato.
Intanto a Istanbul come a Ankara continuano gli arresti di massa sotto lo stato d’emergenza.
Nell’ultima settimana, sono state 1.003 le persone finite in manette in tutta la Turchia con l’imputazione di terrorismo. La maggior parte (568) è accusata di legami con Fethullah Gulen, ritenuto l’ideatore del fallito push.
In un anno e mezzo sono quasi 90 mila gli arrestati, oltre 150 mila hanno perso il lavoro e sono finiti sotto inchiesta.
Come Pervin Buldan, eletta domenica scorsa co-presidente del partito turco filo-curdo Hdp, accusata di presunta “propaganda terroristica” e di “violazione delle leggi sulla sedizione” in Turchia.
Le indagini sono partite all’indomani del discorso pronunciato dalla neo leader al congresso dell’Hdp.
Con le stesse imputazioni è indagato anche il deputato Sirri Sureyya Onder.
Eletta al posto di Selahattin Demirtas, che si trova dietro le sbarre dal novembre 2016 in attesa di essere processato per i suoi presunti legami con il Pkk, la Buldan rischia lo stesso trattamento.
Diversi altri deputati della formazione filocurda, il secondo più importante partito di opposizione nel Paese, sono incarcerati per favoreggiamento e appartenenza a organizzazioni terroristiche, accusa con la quale Erdogan ha giustificato le repressioni e i repulisti che non hanno risparmiato nessuna categoria, compresi i giornalisti.
Tra i 150 e i 170 i nostri colleghi in carcere in Turchia.
Per chiedere la loro liberazione Articolo 21, Federazione nazionale della stampa, la rete No Bavaglio hanno lanciato una petizione su Change.org che ha già raccolto oltre 22mila firme.
Ma non ci fermiamo qui e rilanciamo l’appello a firmare per ribadire con ancora più forza #nobavaglioturco.
https://www.change.org/p/recep-tayyip-erdogan-free-mehmet-altan-e-şahin-alpay-and-all-journalist-wrongfully-imprisoned