Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini sono tre assassini condannati definitivamente per la strage di Bologna del 2 agosto 1980: 85 morti e 200 feriti. Licio Gelli è l’ultimo gerarca fascista (così lui ama definirsi), che insieme agli ufficiali del Sismi Musumeci e Santovito (tutti iscritti alla loggia massonica P2), hanno tentato, inutilmente, di depistare gli inquirenti dai veri responsabili della strage, per questo sono stati condannati anche loro definitivamente.
Poco importa se Gelli con il suo solito sarcasmo ha definito la strage della stazione “una fatalità causata da un mozzicone di sigaretta che ha procurato un surriscaldamento generando l’esplosione”. Il problema non è Gelli o le dichiarazione di Fioravanti contro la memoria della suocera di Paolo Bolognesi, vittima della strage. Del killer, cresciuto negli studi di Cinecittà, abbiamo le immagini indelebili quando durante il processo, in sfregio al dolore dei famigliari e al lavoro dei giudici, rideva, scherzava, appiccicato alla Mambro all’interno della gabbia, dimostrando un totale disinteresse per quella sentenza che lo avrebbe consegnato alla storia come uno degli autori dell’azione più vile: uccidere bambini, donne, uomini, innocenti e indifesi.
Il problema, dal 1947 (strage di Portella della Ginestra) ad oggi, di fronte agli attentati nei confronti non solo dei civili, ma anche dei magistrati, delle forze dell’ordine, è l’assenza dello Stato che con gli anni è sempre più lontano dalla cultura dei valori e dei principi costituzionali. Fioravanti, Mambro, Ciavardini sono tre manovali, violenti, assassini, ma sempre manovali sono che hanno preso ordini, mancano le teste pensanti, i mandanti, che da quel lontano 1947 si nascondono dentro i palazzi delle istituzioni. Il 2 agosto il governo deve prendere l’impegno di abolire il segreto di Stato, solo così si potrà consegnare la verità alla società e in particolare a tutti quei cittadini lasciati soli che non hanno mai smesso di soffrire.