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Ue, il 21% del territorio è ‘protetto’

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Di Luca Scarnati
Nel ventesimo anniversario della Rete Natura 2000 la Commissione Europea festeggia e fa un po’ di conti. Per superficie di aree protette l’Unione Europea, con il 21% del territorio, è seconda solo al Brasile (prima in classifica con il 26% ma con ben minore densità di popolazione). Di questa il 70% rientra nelle 26.000 aree realizzate grazie alla Rete Natura 2000, quasi 1 milione di km2, circa il 18% del territorio UE.

Questi i numeri del principale strumento per la conservazione della biodiversità dell’Unione Europea, nata nel 1992 in applicazione di due direttive: Habitat 92/43 e Uccelli 79/409. Consiste in una serie di aree istituite su tutto il territorio dell’Unione, i Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e le Zone di Protezione Speciale (ZPS), per le quali i singoli Stati debbono realizzare forme di protezione delle specie e degli habitat presenti. Alla conservazione della biodiversità è associata la possibilità di svolgere attività da parte dell’uomo, a patto che siano economicamente e ecologicamente sostenibili.

Altro importante anniversario è in parallelo il ventennale dei progetti LIFE, lo strumento finanziario attraverso il quale vengono supportati i progetti di ripristino e conservazione di queste aree. Per l’Italia 602 i progetti ammessi al cofinanziamento dal 1992, per un importo complessivo di 387 milioni di euro a fronte di un investimento totale di 890 milioni di euro, numeri che ci mettono al primo posto, una volta tanto, tra i beneficiari degli aiuti. Considerando che secondo la Commissione da oggi al 2020 si possono creare 20 milioni posti lavoro, è facile capire la portata dell’argomento.

Durante le celebrazioni, in occasione delle quali è stato presentato il portale informativo natura2000.eea.europa.eu, a rallegrarsi è primo tra tutti il Commissario per l’Ambiente Potočnik: “I notevoli progressi che abbiamo compiuto nei due ultimi decenni costituiscono un valido motivo per festeggiare, ma è ancora necessario offrire il nostro aiuto alla natura che ci ricompenserà largamente con i suoi fondamentali servizi ecosistemici”.

Ma per tutta la Rete è obbligatorio il monitoraggio sullo stato di conservazione delle aree: ogni sei anni gli Stati devono presentare alla Commissione Europea un Rapporto Nazionale. Il prossimo dovrà essere consegnato dalle Regioni al Ministero dell’Ambiente entro fine anno. Si avvicina quindi la scadenza per la consegna del 3° Rapporto Nazionale sullo stato della Rete Natura 2000. Le Regioni stanno raccogliendo quanto in loro possesso sulla salute degli ecosistemi e delle specie all’interno della Rete, informazioni da cui sarà possibile fare una valutazione sulla biodiversità nel nostro paese. Abbiamo cercato di capire quali saranno i risultati, interpellando chi sulla conservazione della biodiversità lavora da anni. Alle nostre domande hanno risposto il prof. Attorre, botanico e uno dei responsabili scientifici del Network Nazionale della Biodiversita, il prof. Boitani, zoologo, impegnato nella salvaguardia dell’orso marsicano e il prof. Sbordoni, zoologo e responsabile dell’Osservatorio della Biodiversità del Lazio.

La biodiversità in Italia. Tutti d’accordo nel dire che la grande varietà di ambienti presenti in Italia, che si estende da nord a sud e dalle coste alle vette alpine, ha creato un paese ricco di biodiversità, favorita dalle pratiche tradizionali di uso del territorio, che hanno determinato il formarsi di paesaggi caratteristici ed eterogenei. Viviamo ora una situazione particolare, con le coste e le pianure che subiscono una forte pressione da parte dell’uomo, e le montagne, in particolare in Appennino, dove lo spopolamento e l’abbandono delle pratiche tradizionali stanno favorendo l’avanzare dei boschi, ma a scapito di molti habitat di prateria. In generale le attività dell’uomo stanno incidendo sulla conservazione della biodiversità, con una omologazione degli stili di vita e dei processi produttivi, legati alla globalizzazione, che tendono ad eliminare la varietà. Secondo gli zoologi non vi è ancora una perdita di specie, “Ma sicuramente una riduzione in termini di numero di esemplari, in particolare – ci tiene a sottolineare il prof. Boitani -l’orso marsicano non supera i 45 esemplari!”. La creazione della Rete Natura 2000, sebbene con le sue imperfezioni e la sua eccessiva burocrazia, ha fornito uno strumento comune per lo studio della natura, metodologie e finalità condivisibili a livello europeo, favorendone l’applicazione anche mediante appositi finanziamenti, come i progetti LIFE. Molte le professionalità valorizzate.

La scelta delle aree ha seguito criteri a volte discutibili, tanto che tutti concordano nel sottolineare la mancanza di un adeguato numero di aree di pianura o costiere. A volte le scelte sono state fatte a tavolino, creando un mosaico non connesso. Molte poi ricadono in parchi o riserve, non contribuendo quindi ad aumentare la superficie protetta del territorio italiano. “Ma – spiega il prof. Sbordoni – da una parte questo è anche un vantaggio, perché vi è già una struttura per gestirle, con le adeguate competenze tecnico-scientifiche”. Il problema, dicono, è la scarsa consapevolezza e interesse che c’è nel nostro paese in merito a SIC e ZPS da parte di cittadini e istituzioni. Il processo è stato poco condiviso, il Ministero dell’Ambiente lo ha scaricato sulle Regioni che non sempre sono state in grado di farvi fronte, sia tecnicamente che finanziariamente. “È mancato un adeguato coordinamento e finanziamento di tutte le operazioni connesse alla realizzazione e gestione della Rete – prosegue Attorre – siamo in ritardo rispetto ai tempi previsti dalla Direttiva e rischiamo l’apertura di procedure di infrazione da parte dell’UE”.

Lo stato della conoscenza. Ma almeno sappiamo abbastanza sulla biodiversità del nostro paese? Da quanto rispondono la conoscenza c’è, ma frammentata. Non è uguale per tutte le tipologie di essere viventi – e qui ognuno si lamenta della poca attenzione dedicata al proprio campo di studi – inoltre è difficile da collocare con precisione nello spazio, solo le informazioni più recenti vengono localizzate mediante sistema GPS, e nel tempo, per cui è difficile fare confronti tra situazione attuale e pregressa, quindi stabilire dei trend. “Vi è un forte contributo da parte di università, musei, associazioni di appassionati – afferma il prof. Sbordoni – il problema è informatizzare i dati e metterli in comune”. La condivisione delle informazioni. E questo sembra essere il problema principale, la mancanza di strumenti per la condivisione della conoscenza. “Fondamentale è conoscere cosa, quanto e dove c’è da conservare prima di conservarlo! – replica il prof. Attorre – L’Italia è l’unico paese dell’Unione, insieme alla Grecia, che non aderisce al GBIF, il più grande portale mondiale della biodiversità.” E questo perché a quanto pare non versa i 200.000 € annui necessari per l’adesione. Si aggiunge una tendenza da parte di alcuni a essere gelosi dei propri dati, che sebbene siano frutto di lavori di ricerca pubblica, spesso vengono tenuti nei cassetti.

 

In conclusione. Vedremo se la Commissione Europea giudicherà soddisfacente quanto il Ministero dell’Ambiente riuscirà a presentare nel 3° Rapporto Nazionale data la situazione descritta dai nostri intervistati. Intanto quello che chiedono è maggiori risorse e maggior coordinamento, nonché una visione più globale anche da parte del mondo della ricerca, nella speranza di non perdere anche questo treno.

Il mondo di Annibale

 


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