Dopo aver debuttato in prima nazionale con grande successo al teatro Vascello di Roma in occasione di “Le vie dei Festival”, lo spettacolo “Se tu avessi parlato Desdemona” è arrivato con altrettanto gradimento al Teatro Mancinelli di Orvieto, dove non solo ha fatto registrare il sold out nelle due repliche serali dello scorso venerdì 19 gennaio, ma si è rivolto con due matinée e ben sei repliche anche al pubblico giovanile delle scuole secondarie della città. Un grande impegno di recitazione, quello di Enrica Rosso, che si è consacrata senza riserve, per due intere giornate, allo splendido e difficile ruolo portato in scena. Una generosità, la sua, che è stata ampiamente ripagata dalla concentrata attenzione dell’uditorio e dalle emozioni e dalle riflessioni che, con la sua vibrante interpretazione, ha saputo suscitare.
È il sottotitolo dello spettacolo – ovvero l’ultimo quarto d’ora nella camera da letto del generale Otello – che rende ancor più conto del tema che affronta l’appassionante pièce teatrale, tratta dall’omonimo testo della scrittrice tedesca Christine Brückner Se tu avessi parlato Desdemona, a sua volta parte di una più ampia raccolta in cui undici donne – reali o figure letterarie – monologano con i loro uomini in altrettanti testi. Ideato e interpretato da Enrica Rosso, con interventi visivi di Massimo Achilli e la collaborazione di Carla Ceravolo per la scena e di Metella Raboni per il costume, lo spettacolo rielabora in modo moderno e del tutto originale quello che è stato definito il primo femminicidio della storia: l’uccisione di Desdemona da parte di Otello, seguita nell’immortale tragedia di William Shakespeare dal suicidio di lui che, senza lei, ha perso ogni ragione di vita. Il testo di Christine Brückner offre a Desdemona l’opportunità di poter cambiare il suo tragico destino, bloccando per un quarto d’ora con la parola le mani ciecamente gelose di Otello, e cercando di aprirgli il cuore e le orecchie alla sua verità e alle sue ragioni, ma anche ai suoi dubbi, al suo sconforto, alle sue contraddittorie sensazioni.
“Ho immaginato una Desdemona visivamente immersa nei suoi incubi – ha spiegato Enrica Rosso – agire all’interno di un cerchio di protezione in cui sole e luna, maschile e femminile finalmente si incontrano. Otello prigioniero delle sue pulsioni si moltiplica e prende corpo negli spettatori che la circondano. Un luogo protetto e intimo per ritrovarsi, calando la maschera e entrando in contatto con le fragilità dell’altro”. E in effetti Desdemona parla, dall’interno di un cerchio di sale, percorrendo con grazia ansante la circonferenza e guardando con ardimento gli spettatori: ognuno/ognuna diventa Otello, tanti Otello che lei fissa, coinvolge e cerca di persuadere. Lo spettacolo dura quaranta minuti, costruito sul monologo centrale mutuato da Christine Brückner, sulle due celebri scene chiave dell’Otello shakesperiano che lo precedono e lo seguono – quelle prima e dopo il femminicidio – e su un prologo e un epilogo coreografici contemporanei che attualizzano, come l’eterna trama shakespereana suggerisce, la storia e il drammatico problema.
In candido abito notturno, con i lunghi capelli raccolti ma liberi sulle spalle, a piedi nudi, Enrica Rosso entra nella luminosità della scena circolare danzando lieve e armoniosa, sospinta dalle note e dal celebre testo di Luigi Tenco:
Angela, Angela, angelo mio
io non credevo che questa sera
sarebbe stato davvero un addio,
Angela credimi, io non volevo.
Angela, Angela, angelo mio
quando t’ho detto che voglio andarmene,
volevo solo vederti piangere,
perché mi piace farti soffrire.
Volevo farti piangere
vedere le tue lacrime
sentire che il tuo cuore
è nelle mie mani.
Musicata in uno struggente valzer, è l’attitudine senza tempo del maschile, quando più che amore diventa fragile, irrisolto bisogno di dominio e potere. Poi Enrica-Desdemona si accascia esanime, addormentata forse, e nell’ombra risuona il celebre monologo di Otello, interpretato magistralmente dalla voce registrata di Enrica Rosso. Sfumature psicologiche e tonali che l’insolita recitazione femminile rende ancora più disperate e intime, oniriche, mentre sul corpo di Desdemona scorrono immagini allusive legate al gesto contraddittorio e assurdo che il geloso amato sta per compiere: ...non voglio spargere il suo sangue,/ voglio lasciare intatta la sua pelle più bianca della neve/ e più liscia dell’alabastro. Ma deve morire,/ altrimenti continuerà a peccare con altri uomini… Ti ucciderò,/ e ti amerò ancora!
Ma Desdemona si sveglia e, appassionata e concitata, tra molteplici gradazioni espressive parlerà un quarto d’ora per calmarlo e riconquistarlo, per risuscitare in lui l’amore fiducioso e la dignità del suo ruolo di generale, la gratitudine per quanto lei l’ha amato lasciando patria e lignaggio, cercando persino di esercitare un erotismo disinibito e complice che, ragazza forse troppo beneducata, non ha saputo vivere e esplicitare; e anche manifestando, provocatoriamente, una possibile sua speculare gelosia: perché se basta un fazzoletto nelle mani di Cassio a mettere in dubbio l’amore, dove sono, che fine hanno fatto, che lacrime hanno asciugato tutti i fazzoletti scomparsi e perduti che lei, Desdemona, ha ricamato e consegnato a Otello?
Il potere della parola ragionevole adombra una possibile salvezza, ma mentre Desdemona si accascia di nuovo tra macchie luminose di sangue, i versi di Shakespeare irrompono, ancora con la voce registrata di Enrica Rosso, a suggerire il tragico copione dell’istinto:
Come sei fredda, piccola mia, come sei fredda!
Fredda come la tua castità.
E voi frustatemi, demoni:
cacciatemi via da questo luogo di bellezze celesti.
Disperdetemi al soffio dei venti, bruciatemi nello zolfo!
Immergetemi giù, nei più profondi vortici del fuoco liquido.
O Desdemona! Desdemona! Sei morta!
Le chiazze luminose di quel sangue che, nel candore della morte per soffocamento, nel testo shakespeariano non contamina l’amata, suggeriscono la metafora vera e spiazzante della trasposizione cruenta alla contemporaneità. E in effetti, a conclusione, nella luce fredda del femminicidio ormai avvenuto, rintocchi di campane a morto scandiscono, intorno a Desdemona che giace, l’apparire dei nomi di alcune delle molte donne uccise “per amore”, fino all’ultimo femminicidio consumato prima di ogni spettacolo.
No, non per amore! – fa esclamare lo spettacolo stesso. Uccise per assurdo pregiudizio, accecamento di ragione e sentimento, per viltà, per la proiezione distorta della volontà di potere sul corpo – e sull’anima – femminile. Con la differenza che nel personaggio shakesperiano si rintraccia più consapevolezza e meno mistificazione di quanto mostra oggi la cronaca. Perché Otello non invoca il non sapere e il non volere, le illogiche argomentazioni che troppe volte sentiamo addurre a scusante degli aggressori; Otello sa, conosce la nefandezza dell’orribile gesto e consegna la sua anima al fuoco e ai demoni.
La bellezza scenica dello spettacolo è notevole, le riflessioni che induce sono essenziali e profonde, e le parole di Shakespeare e di Brückner così potentemente risonanti attraverso le corde ora morbide ora aspre di Enrica Rosso, sempre rigorosamente in equilibrio tra vibrante passione e raffinata intellettualità, che tutto induce a pensare che l’arte, probabilmente, può giovare alla consapevolezza più di tanto chiacchiericcio di cronaca e di molte analisi asettiche. Il contributo fondamentale che l’arte largamente intesa può dare alla vita e all’umana società, e dunque alla politica, non consiste infatti nel trattare espressamente e ideologicamente una concezione o una questione socio-politica, ma nel narrare una visione sociale e politica senza nominarla espressamente: senza predicare o argomentare astrattamente ma, come qui accade, raccontando e interpretando efficacemente una