Come “parlano” le mafie

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Pubblichiamo l’articolo di Attilio Bolzoni e Norma Ferrara tratto dal blog “mafie” di Repubblica. Uno spazio importante che abbiamo deciso di inserire tra i “siti amici” di Articolo21

di Attilio Bolzoni e Norma Ferrara

In tempo di guerra si sa come “parlano”: sparano. Ma in tempo di pace, come comunicano le mafie? Qual è il loro vocabolario? Come si manifestano all’esterno? Come dialogano fra loro i boss di Cosa Nostra o quelli della ‘Ndrangheta o quegli altri della Camorra napoletana?
Se è vero, come è vero, che il “morto” di mafia racconta sempre tanto – un cadavere a terra può dire molto di più che un verbale di interrogatorio –  quando la mafia non si rivela con la violenza plateale allora bisogna decifrarla per quello che dice o non dice. Quel che è certo è che ogni epoca ha la sua mafia. E ogni mafia ha la sua lingua.
Una volta giuravano in Sicilia: «La mafia non esiste». Ammettono oggi loro stessi, i mafiosi: «La mafia fa schifo». Una capriola nel dizionario e tutto torna a posto. Sotto la polvere.

Sapere come si esprimono e come veicolano le loro minacciose parole ci consente di scoprire i loro pensieri, avere una “chiave”, un codice per interpretare i loro messaggi. Perché tutto è messaggio nel loro mondo. Anche i gesti, anche i silenzi.
Negli ultimi anni c’è stata una modernizzazione della “parlata” che ha seguito passo dopo passo i mutamenti e le strategie delle organizzazioni criminali. Una fraseologia che è cambiata dentro e fuori i sodalizi, quando capi e sottocapi hanno dovuto esprimersi fra di loro e quando, al contrario, hanno dovuto notificare avvisi agli altri. Costretti a far coesistere segretezza e diffusione di informazioni, le mafie ormai parlano dappertutto. In chiesa e allo stadio, sui libri e al cinema, in politica e in affari, in Rete e al 41 bis, in Italia e all’estero.
In questa puntata del blog raccontiamo le loro parole. Perché così come si adattano velocemente alle trasformazioni della società, altrettanto rapidamente i boss e i loro complici adeguano la loro lingua ai tempi e ai luoghi in cui vivono. Per esempio, la ‘Ndrangheta parla in un certo modo fra le fiumare dell’Aspromonte e in un altro quando è sulla via Emilia: carica di brutalità a casa propria, più rassicurante e morbida fra Modena e Brescello.

Ma fuori dai confini nazionali la lingua ufficiale è sola una, quella dei soldi. Così, grazie a giornalisti e studiosi e magistrati, racconteremo di quando la mafia non si chiamava ancora mafia. Andando poi a curiosare nel linguaggio dei boss di oggi, a partire dai “pizzini” per passare ai telefoni cellulari, da “radio carcere” a Facebook, dal bacio in bocca a Twitter. E ancora: dalla prima “diretta” della storia mafiosa durante le udienze del maxi processo di Palermo all’“opera letteraria” di Salvuccio Riina, dalle minacce sui post alle esibizioni di potere alle feste del santo patrono del paese. Fino alle intimidazioni verbali su Youtube, fino alle testate di Ostia. E dal linguaggio delle donne nelle famiglie di ‘Ndrangheta a quello dei mafiosi quando parlano con il mondo politico. Naturalmente ci sono anche i “ragionamenti” dei protagonisti di Mafia Capitale.

L’idea di dedicare una serie del blog “Mafie” alla comunicazione mafiosa è nata nel settembre scorso, a margine di un convegno ad Assisi sulla libertà di parola e contro i muri mediatici, organizzato dall’associazione “Articolo 21”. Chiacchierando fra giornalisti, abbiamo pensato di svelare qualche mistero e smontare più di un luogo comune. Come quello sulla famosa frase che una volta si pronunciava sempre in Sicilia: «La meglio parola è quella che non si dice». A quanto pare non è più così.

Fonte: http://mafie.blogautore.repubblica.it/2017/12/attilio-bolzoni/


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