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Acca Larentia e Beppe Alfano: per non dimenticare

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Li abbiamo spesso considerati i morti degli altri, quasi delle vittime inferiori, come se Francesco Ciavatta e Francesco Bigonzetti non meritassero la pietà umana che si deve a chiunque sia caduto, soprattutto in giovane età, per mano di personaggi che non devono essere considerati alla stregua di “compagni che sbagliano” ma di spietati e squallidi assassini che compiono azioni riprovevoli.
Ad ucciderli quarant’anni fa davanti alla sezione missina di via Acca Larentia, nel quartiere Tuscolano, stando alle rivendicazioni, furono i Nuclei Armati per il Contropotere Terrtoriale, autori di una rivendicazione che recitava così: “Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larentia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d’Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell’accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua. Abbiamo colpito duro e non certo a caso, le carogne nere sono picchiatori ben conosciuti e addestrati all’uso delle armi”. Fu l’inizio della fine, della radicalizzazione estrema anche a destra, già presente con soggetti come Ordine Nuovo ma ormai pronta a sfociare nell’inferno ben descritto da Francesca Mambro, a commento dell’uccisione di un terzo militante missino, Stefano Recchioni, militante della sezione missina di Colle Oppio, la cui colpa, quel 7 gennaio di quarant’anni fa, fu quella di partecipare ad un sit-in di protesta in ricordo delle vittime, ricevendo per questo una pallottola in fronte da parte del capitano dei carabinieri Edoardo Sivori. Ha asserito la Mambro: “Eravamo pochi, ci conoscevamo più o meno tutti. Con Francesco Ciavatta, poi, avevamo militato insieme nel circolo di via Noto.

La reazione immediata, mia e di tanti, fu la paralisi, come quando ti muore un parente. Ci guardavamo in faccia senza capire e senza sapere che fare, mentre dalle varie sezioni della città affluivano gli altri. Il Movimento Sociale Italiano non ebbe alcuna reazione nei confronti dei carabinieri, probabilmente per difendere interessi e posizioni che non avevano nulla a che fare con la nostra militanza. Noi ragazzini venivamo usati per il servizio d’ordine ai comizi di Almirante, quando serviva gente pronta a prendere botte e a ridarle, ma in quell’occasione dimostrarono che se per difenderci bisognava prendere posizioni scomode, come denunciare i carabinieri e il loro comportamento, allora non valeva la pena. Per la prima volta i fascisti si ribellarono alle forze dell’ordine. Acca Larentia segnò la rottura definitiva di molti di noi con il MSI. Quell’atteggiamento tiepido e imbarazzato nei confronti di chi aveva ucciso Stefano (Recchioni, ndr) significava che erano disposti a sacrificarci pur di non mettersi contro le forze dell’ordine. Non poteva più essere casa nostra. Per la prima volta e per tre giorni i fascisti spareranno contro la polizia. E questo segnò un punto di non ritorno. Anche in seguito, per noi che non eravamo assolutamente quelli che volevano cambiare il Palazzo, rapinare le armi ai poliziotti o ai carabinieri avrà un grande significato. Che lo facessero altre organizzazioni era normale, il fatto che lo facessero i fascisti cambiava le cose di molto, perché i fascisti fino ad allora erano considerati il braccio armato del potere”.
Da quel giorno, da quella barbarie non si sarebbe più tornati indietro, con le conseguenze che tutti conosciamo.
Anche Beppe Alfano, eroico giornalista antimafia, dalla medesima assassinato venticinque anni fa, era un uomo di destra. Un uomo perbene, un cronista coraggioso e con la schiena dritta, un protagonista della stagione della denuncia e della battaglia per l’onestà nella Sicilia delle stragi, degli appalti luridi e, per l’appunto, delle guerre di mafia. Cadde a soli quarantasette anni e oggi quasi nessuno se lo ricorda più, il che dimostra il nostro degrado morale, la nostra sconfitta politica, la scomparsa di ogni dignità da un dibattito pubblico sempre più autoreferenziale e inconcludente.

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