Quel che sta succedendo nella politica italiana sul problema delle ultime trattative tra mafia e Stato (altre ce ne sono state ed è impossibile negarle nella nostra storia plurisecolare) è di sicuro preoccupante per tutti quelli che considerano la costituzione repubblicana un documento fondamentale e imprescindibile per una politica democratica e trasparente. Due valori che non si possono mettere da parte nel nostro paese dopo quello che è successo tutte le volte (e sono state molte, come è noto) che nel settantennio repubblicano si è tentato di mettere da parte i principi della Carta del 1948 e procedere con la logica del più forte che ha sempre ragione e del debole che deve esser sempre oppresso dalle così dette ragioni di Stato. Chi si è occupato di storia della mafia o dei tentativi di colpo di stato ricorrenti dopo il 1945 non riesce a dimenticare il ripresentarsi di una logica così ottusa e troppe volte al centro dell’azione di apparati dello Stato, e a volte anche di una parte rilevante delle nostre classi dirigenti.
Quel che emerge con sempre maggior chiarezza dal caso Mancino è il fatto che le telefonate tra il consigliere giuridico del Capo dello Stato D’Ambrosio e l’ex presidente del Senato (che ora per fortuna non dovrebbero andar distrutte se la memoria del fratello di Paolo Borsellino sarà accolta dai giudici di Caltanissetta) contengono (o almeno è possibile, che contengano da quello che già sappiamo) notizie importanti e significative su quello che è successo nell’anno fatale delle stragi – il 1992 – tra parlamento e governo dell’epoca e Cosa Nostra, a proposito delle richieste di quest’ultima alle istituzioni politiche italiane per stipulare una tregua nella lotta contro la criminalità organizzata in cambio di precise concessioni.
E che proprio Mancino, con altri politici del tempo, tra i quali l’ex ministro della Giustizia Conso, possa esser stato il protagonista, o uno dei protagonisti di uno scambio nel quale sarebbero entrati – non si sa ancora in quale momento – altri personaggi politici di vario colore. E qui fatalmente il pensiero va all’altra inchiesta in corso a Palermo sul passaggio di milioni di euro tra l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il senatore Marcello Dell’Utri.
Qui siamo, naturalmente, di fronte ancora a mere ipotesi che richiedono una documentazione, che oggi è ancora inaccessibile.
Ma alcuni elementi significativi emergono già dai dati a disposizione e mi limito qui ad elencarli in attesa che lo svolgimento dei processi in corso possa apportare elementi di novità su una materia troppo importante per il nostro paese da restare segreta o essere distrutta pregiudizialmente. In questo senso l’appello che sentiamo di rivolgere, e che vorremmo che anche altri soggetti indirizzassero al parlamento.
Il primo punto è che la richiesta di Salvatore Borsellino di conservare e far consultare alle parti interessate le telefonate del 1992 è sacrosanta e merita di esser sostenuta da tutti i mezzi di comunicazione autonomi e indipendenti.
Il secondo è che l’eventuale (e oggi ipotizzabile) solidarietà tra esponenti di forze politiche diverse e magari divergenti per salvare i protagonisti del patto tra mafia e Stato negli ultimi venti anni sarebbe grave e inaccettabile se si vuole effettivamente salvare i principi della costituzione repubblicana.
Il terzo è che gli italiani hanno diritto di sapere che cosa è veramente successo e chiedono che i processi in corso vadano avanti e si concludano in tempi accettabili.
Da questo punto di vista, ed è l’ultimo aspetto da segnalare, una situazione politica come quella attuale non appare la più adatta a garantire le condizioni richieste.