Doveroso un grazie a Marina Ripa di Meana (esteso a Maria Antonietta Farina Coscioni). Quale che sia il giudizio che si puo’ dare sulle stravaganze, le bizzarrie, gli eccessi, le “follie” di questo indiscutibile personaggio del nostro tempo, e’ doveroso salutarla per come ha scelto di uscire di scena, per come ha saputo farlo.
Del personaggio, qui importa nulla parlare. Lo hanno descritto in tanti, e in mille declinazioni. La conoscevamo, perché della sua vita – delle sue molte vite – nulla ha celato, ed anzi ha tutto esibito con irriverente orgoglio e facendosi beffe del luogo comune e del pensiero “per bene”. Ha dominato il suo tempo, libera, sfrontata forse, ironica, indipendente. Ma di questo, su questo, non preme e non urge soffermassi; altro non si farebbe che ripetere un già detto, un già scritto, e certamente meglio.
No, la grande lezione che Marina Lante della Rovere ha impartito, e per la quale dobbiamo dirle grazie e in quel breve messaggio che ci ha lasciato, prima di andare “altrove” e che Farina Coscioni ha letto con evidente partecipazione. Un testo esemplare, che richiama tutti noi alle responsabilità che abbiamo, e di cui non ci si può liberare con una scrollata di spalle.
Questa donna esuberante e piena di vita ci racconta quello che ogni giorno accade a tantissime persone: “Dopo Natale le mie condizioni di salute sono precipitate. Il respiro, la parola, il mangiare, alzarmi: tutto, ormai, mi è difficile, mi procura dolore insopportabile: il tumore ormai si è impossessato del mio corpo. Ma non della mia mente, della mia coscienza”
Marina Ripa di Meana poi racconta: “Ho chiamato Maria Antonietta Farina Coscioni, persona di cui mi fido e stimo per la sua storia personale, per comunicarle che il momento della fine è davvero giunto. Le ho chiesto di parlarle, lei è venuta. Le ho manifestato l`idea del suicidio assistito in Svizzera. Lei mi ha detto che potevo percorrere la via italiana delle cure palliatine con la sedazione profonda. Io che ho viaggiato con la mente e con il corpo per tutta la mia vita, non sapevo, non conoscevo questa via. Ora so che non devo andare in Svizzera. Vorrei dirlo a quanti pensano che per liberarsi per sempre dal male si sia costretti ad andare in Svizzera, come io credevo di dover fare”.
Qui c’e’ uno dei passaggi chiave del testo: “Non sapevo, non conoscevo questa via…”; che si puo’ “percorrere la via italiana delle cure palliative con la sedazione profonda”.
E ancora: “Vorrei dirlo a quanti pensano che per liberarsi per sempre dal male si sia costretti ad andare in Svizzera”.
Marina Ripa di Meana, con Maria Antonietta Farina Coscioni ha voluto “lanciare questo messaggio, questo mio ultimo tratto: per dire che anche a casa propria, o in un ospedale, con un tumore, una persona deve sapere che può scegliere di tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze”.
L’estremo, accorato appello: “Fallo sapere, fatelo sapere”.
Una invocazione, un richiamo a tutti noi perche’ si faccia sapere, conoscere. Quanti sono i sofferenti giunti allo stremo che ignorano che e’ consentita, possibile, un’alternativa “dolce” al suicidio violento o al viaggio senza ritorno in Svizzera? Il ministero della Salute in altro appare impegnato, scarse e scarne le informazioni, nessuna campagna per garantire adeguata conoscenza; e i mezzi di comunicazione troppo spesso sono assenti, rinunciano a svolgere quel ruolo di informazione che dovrebbe essere elemento costitutivo della loro esistenza.
Con quel “Fallo sapere, fatelo sapere” Marina Ripa di Meana si e’ rivolto a tutti e a ciascuno di noi. Sappiamo, tutti, quello che andrebbe fatto. Se lo sappiamo, dobbiamo farlo.