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Una pronuncia della Corte europea sulla ritrasmissione gratuita dei canali televisivi chiama in causa l’art. 18 del Contratto di servizio Rai

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A seguito di una pronuncia pregiudiziale dei giudici del Lussemburgo, un comunicato stampa Mediaset, che vale la pena di citare per esteso, annuncia: “Svolta nelle regole tv: la corte europea giudica illecita la ritrasmissione di canali televisivi gratuiti senza autorizzazione dell’editori”. La Corte di Giustizia Europea riunita oggi (ndr 29.11.2017) a Lussemburgo ha stabilito che la ritrasmissione di canali televisivi free captati nell’etere è illecita se non viene preventivamente autorizzata dal titolare dei diritti, cioè dall’editore del canale. Un’autentica svolta in materia televisiva a livello comunitario. Al di là del caso specifico, la sentenza comunitaria di oggi rappresenta una pietra miliare nella giurisprudenza in materia: è ora stabilito che qualunque società voglia ritrasmettere per proprie finalità commerciali il segnale televisivo di un broadcaster concorrente, anche se diffuso liberamente e gratuitamente nell’etere, deve ottenere l’autorizzazione preventiva del titolare del diritto. Un’autorizzazione che in Italia non è mai stata chiesta agli editori dei canali, né in questa circostanza né in altre che hanno portato a recenti contenziosi – per esempio con operatori satellitari – che vedono Rti-Mediaset ancora una volta parte lesa”.

Ora, come si coniugano la pronuncia pregiudiziale della Corte europea, la posizione di Mediaset, parte lesa in recenti contenziosi con operatori satellitari (leggi SKY) e l’art. 18 dello schema del nuovo Contratto di servizio Rai/Stato, attualmente in Commissione di vigilanza per il prescritto parere?

Come noto l’art.18, comma 2. prevede che: “Nel rispetto dei principi di universalità del servizio pubblico e nel bilanciamento tra gli interessi degli utenti in regola con il canone di abbonamento e i diritti esclusivi dell’impresa,  la Rai dovrà consentire, all’esito di negoziazioni eque e non discriminatorie, la trasmissione simultanea dei suoi canali di servizio pubblico sulle diverse piattaforme distributive televisive, a condizione che sia rispettata l’integrità dei marchi, dei prodotti e delle comunicazioni commerciali, fatti salvi i diritti dei terzi.”.

Se in base al Contratto di servizio la Rai dovrà consentire la trasmissione simultanea dei suoi canali di servizio pubblico sulle diverse piattaforme distributive televisive, alla luce della pronuncia della Corte europea che cosa comporta tutto questo? Che l’autorizzazione alla ritrasmissione è stata data preventivamente dal MISE in luogo di Rai? Che il Consiglio di amministrazione della concessionaria è demandato esclusivamente a vigilare sulle condizioni contrattuali, da ottenersi in base a negoziazioni eque e non discriminatorie? Per chi, visto che la disposizione adombra un non tanto velato divieto per Rai a richiedere prezzi di mercato?

L’articolo 18 parla di diverse piattaforme distributive e non di diverse piattaforme tecnologiche. Quindi, anche Mediaset potrebbe pretendere da Rai la ritrasmissione in simulcast sulle proprie offerte in digitale terrestre a pagamento e a condizioni eque e non discriminatorie? And last but not least, la disposizione in esame (art. 18, comma 2) farebbe salvi i diritti dei terzi, ma non quelli dell’emittente, invece tutelati dalla Corte di giustizia europea, che considera illegittima la ritrasmissione in mancanza di autorizzazione da parte dell’editore avente diritto sul palinsesto. A ciò si aggiunga che SKY non è un operatore di rete (se lo fosse sarebbe Rai a dover pagare per il transito del proprio segnale in simulcast sulla piattaforma satellitare altrui e non viceversa!), ma un aggregatore di contenuti audiovisivi che formano il bouquet commerciale SKY da proporre all’utenza. Non è chiaro quindi quanto sia conferente fare riferimento nell’art. 18 all’universalità del servizio pubblico in rapporto all’acquisto di un bouquet commerciale a pagamento, specie da quando la Rai dispone di una piattaforma satellitare free (Tivusat) a integrazione della propria rete terrestre.

La verità è che in passato SKY è stata disposta a pagare somme considerevoli pur di avere il marchio Rai nel proprio bouquet commerciale, considerandolo un notevole vantaggio competitivo, che successivamente ha tentato, in parte riuscendoci, di mantenere tale vantaggio senza più riconoscere a Rai gli importi iniziali, in base alla teoria del cosiddetto must offer. Oltretutto, l’art. 18 è una norma situé che presuppone nel panorama italiano una sola piattaforma satellitare a pagamento (in caso di più piattaforme Rai cosa dovrebbe fare? una gara pubblica? oppure dovrebbe concedere, a condizioni eque e non discriminatorie, il simulcast a tutti?)

Evidentemente il testo dell’art. 18, comma 2, dello schema di Contratto di servizio andrebbe ripensato, specie alla luce della pronuncia della Corte di giustizia europea: una riflessione ancora possibile per i Commissari della Vigilanza all’opera per il prescritto parere!


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