Si attende oggi il riconoscimento americano della sovranità israeliana su tutta la città, incluso il settore arabo rivendicato dai palestinesi. Preoccupazioni tra arabi ed europei. Si annunciano manifestazioni di protesta nei Territori palestinesi occupati
«Il Presidente Abbas (Abu Mazen) ormai non si faceva illusioni ma le parole di Trump comunque sono state una doccia fredda». Così fonti della presidenza palestinese descrivevano ieri il gelo calato a Ramallah dopo la telefonata che Donald Trump ha fatto ieri ad Abu Mazen per informarlo «della sua intenzione di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme».
Abu Mazen ha reagito spiegando al biondo tycoon che da un anno occupa la Casa Bianca «i pericoli di una tale decisione sul processo di pace, sulla sicurezza e la stabilità» nella regione e nel mondo. Ha ribadito che «non ci può essere nessuno Stato palestinese senza Gerusalemme Est come capitale».
Niente da fare. Trump va avanti per la sua strada e manterrà la promessa fatta a Israele durante la campagna elettorale. Non lo fa perché è “folle” come pensano e dicono tanti ma per aprire la strada a un disegno regionale ampio, nel quale la forzatura su Gerusalemme a vantaggio di Israele sarà bilanciata con una garanzia ai sauditi e agli altri petromonarchi sunniti che il “nemico” sciita iraniano sarà presto ridimensionato, in un modo o nell’altro. Il premier Netanyahu celebra anche se il trasferimento dell’ambasciata Usa subirà uno slittamento come hanno fatto sapere ieri funzionari americani citati dal quotidiano Haaretz.
La demolizione del diritto internazionale arriverà questo pomeriggio quando Trump riconoscerà la sovranità dello Stato ebraico sull’intera Gerusalemme, incluso il suo settore arabo (Est) occupato 50 anni fa.
E nessuno è in grado di fare previsioni su come reagiranno i palestinesi a Gerusalemme e nelle strade dei Territori occupati.
È stato proclamato un “Giorno di rabbia” e manifestazioni di protesta sono annunciate a Ramallah, in altre città cisgiordane e nella Striscia di Gaza. Abu Mazen è di fronte a un dilemma. Da un lato non può fermare la rabbia e le contestazioni popolari, dall’altro è pronto a frenarle perché le proteste ad un certo punto non potranno non prendere di mira anche la sua idea di soluzione negoziata del conflitto con Israele.
«Il riconoscimento Usa di Gerusalemme capitale di Israele rappresenta la fine certificata degli accordi di Oslo e mette in aperta discussione la funzione dell’Anp», diceva ieri al manifesto l’analista politico palestinese e docente universitario Ghassan al Khatib. «Il processo diplomatico – ha spiegato – cominciato nell’ottobre del 1991 (con la conferenza di Madrid,) e che ha contemplato la proclamazione di uno Stato palestinese accanto a Israele, muore domani (oggi) se Trump farà il suo annuncio su Gerusalemme. 26 anni fa gli Usa diedero il via a questa idea ora ne sanciscono la conclusione senza fornire ai palestinesi un altro orizzonte».
In questo quadro l’inutilità dell’Autorità nazionale palestinese è palese, conclude Khatib: «L’Anp è stata creata per dare vita allo Stato di Palestina e di fare di Gerusalemme Est la sua capitale. Ora che per essa non c’è più alcuna prospettiva, i palestinesi non tarderanno a metterla in discussione, malgrado i tentativi che farà Israele per tenerla in vita ed evitare di dover gestire i bisogni della popolazione palestinese sotto occupazione».
L’allarme per le conseguenze che avrà il passo di Trump è alto e non solo nel mondo arabo. I capi di Stato della Lega araba, durante la sessione straordinaria tenuta ieri al Cairo, hanno rimarcato la “pericolosità” di una simile decisione in tutto il Medio Oriente. Il più preoccupato è il re giordano Abdallah che sa bene che la questione di Gerusalemme – di cui lui sarebbe il custode islamico – mette a forte rischio la stabilità del suo regno popolato in maggioranza da palestinesi. Il turco Erdogan, avvertendo che Gerusalemme è una «linea rossa per i musulmani» è arrivato a minacciare la sospensione delle relazioni diplomatiche con Israele. Parole che non hanno scosso il governo Netanyahu secondo il quale Gerusalemme sarebbe «la capitale ebraica da tremila anni e la capitale di Israele da 70 anni».
Preoccupazione anche in Europa. Il presidente francese Macron ha chiamato Trump per spiegargli che «la questione dello status di Gerusalemme dovrà trovare una soluzione nel segno dei negoziati tra israeliani e palestinesi» con l’obiettivo la costituzione di due Stati «che vivano insieme in pace e in sicurezza, con Gerusalemme come capitale». Punti sui quali ha battuto, in una conferenza stampa a Bruxelles con il segretario di Stato Usa Rex Tillerson, anche la ministra degli esteri dell’Ue Federica Mogherini. Alla posizione europea si è allineato il ministro degli esteri italiano Alfano.
Michele Giorgio Il Manifesto