E’ l’una e trenta. Una macchina della linea 5 si inceppa e iniziano ad uscire scintille. Gli operai accorrono, provano a spegnere le fiamme con gli estintori, ma sono quasi scarichi. Il fuoco aumenta, decidono di prendere una manichetta, la collegano e prima che l’acqua venga aperta un flessibile dentro cui scorre l’olio al alta pressione scoppia. Si crea una nuvola di fuoco che parte in orizzontale travolgendo ed avviluppando ogni cosa sia a tiro. I 7 operai vengono investiti dal fuoco, gli abiti si inzuppano di olio, diventano torce umane. Urlano, camminano come zombie, nel frattempo prima i vestiti poi la pelle, poi i muscoli si consumano con il fuoco. Accecati, camminano guidati dalle voci dei colleghi, che non sanno cosa fare per spegnerli. Giuseppe Demasi, 26 anni appena, urla: non voglio morire. Lo ripete a voce più alta: non voglio morire. Non si salverà nessuno, eccetto Antonio Boccuzzi, lui quando esplode il flessibile è dietro ad un muretto che lo scherma dalla nube d’olio. “Mi chiedo perché sono sopravvissuto, e non so rispondermi e con questa domanda devo conviverci”.
La frase “queste sono le ultime ore alla ThyssenKrupp” di Rosario ora suona in modo molto diverso. La madre Grazia, ascolta con ossessione la voce del figlio che esce da quel telefonino vecchio di 10 anni, in parte sciolto dal fuoco, ma ancora in grado di far rivivere gli ultimi istanti di suo figlio e di quella squadra di ragazzi pieni di progetti che nessuno vedrà mai realizzare.