Santo della Volpe seguì la vicenda della Thyssen con attenzione e con la passione civile che lo contraddistingueva. L’articolo che riportiamo di seguito, scritto il 25 aprile 2014 è l’ultimo dei tanti pezzi che Santo ha scritto per Articolo21 dopo aver partecipato alle udienze o dopo aver letto scrupolosamente le carte. Lo ripubblichiamo con piacere ricordando ancora una volta un grande collega che fino all’ultimo giorno (proprio l’ultimo non è un modo di dire) ci raccomandava di non spegnere i riflettori sul dramma quotidiano delle morti sul lavoro
(Stefano Corradino)
Non è ancora chiusa la vicenda giudiziaria della Thyssen, l’acciaieria torinese dove nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2007, divampò un tragico rogo che provocò la morte di sette operai. Non c’e’ ancora Giustizia per gli operai della Thyssen di Torino: perché’ un percorso così’ lungo e contrastato rischia di non portare ad una definizione del processo e perché eliminato il “Dolo” riporta la responsabilità’ dei dirigenti industriali all’omicidio colposo’, eliminando la volontarietà’ dell’azione degli imputati. E così facendo, nel campo dei morti sul lavoro,la Cassazione elimina,almeno per ora, la tesi di una azione volontaria di chi pur sapendo il rischio che corrono in determinate circostanze i propri dipendenti, fa ugualmente correre quei pericoli,pur di avere il prodotto che chiede.
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno confermato la responsabilità degli imputati ma hanno annullato senza rinvio una parte della sentenza di appello che riguarda una delle «circostanze aggravanti» contestate agli imputati.Bisognerà attendere le motivazioni, che per legge vanno depositate entro 90 giorni, per chiarire tutti i punti della decisione dei supremi giudici. Ma di certo il dispositivo della Cassazione ha posto due punti fermi: per la Cassazione non fu omicidio volontario ,ma colposo, anche se la colpevolezza degli imputati e’ accertata. Ed essendo appunto omicidio colposo,le pene di 10 anni all’amministratore delegato Espenhahn e quelle relative agli altri imputati, vanno rideterminate.
Lo hanno capito bene i familiari delle vittime, anche se il dispositivo della sentenza era poco chiaro,per i non addetti ai lavori. Alla lettura della sentenza, infatti, i familiari delle vittime hanno reagito gridando e piangendo: «Sono codardi – ha urlato Rosina, la madre di uno degli operai morti, di fronte all’aula magna della Suprema Corte – non hanno avuto il coraggio di emettere una sentenza, dire qual è la verità». «Siamo delusi perché dopo sei anni e mezzo non è stata ancora scritta la parola fine», ha dichiarato Antonio Boccuzzi, l’unico lavoratore sopravvissuto al rogo, oggi deputato del Pd.Secondo i familiari, le pene -già ridotte rispetto al primo grado – potrebbero essere ulteriormente riviste al ribasso.
Perche’ ci vorra’ un altro processo d’Appello,a Torino, per stabilire gli anni di condanna, quanto cioe’ la giustizia Italiana ritiene responsabili i dirigenti della Thyssenkrupp per quella strage, da celebrare davanti a una nuova corte. Questa la decisione della Corte di Cassazione a Sezioni unite che, dopo oltre cinque ore di camera di consiglio, ha parzialmente annullato le condanne stabilite dalla Corte d’assise d’appello per i sette dirigenti dell’azienda tedesca e dello stabilimento (il nuovo dibattimento servirà per rideterminare le pene inflitte loro) e, soprattutto, ha escluso l’ipotesi di omicidio volontario contestata dal pm Guariniello all’ex ad Harald Espenhahn. Il dispositivo si conclude infatti dichiarando irrevocabili “il corpore parti della sentenza relative alla responsabilità degli imputati in ordine al reato” di omicidio colposo.
Resta ancora aperta, dunque, una vicenda tragica e dolorosa che ha colpito nel suo profondo il mondo del lavoro (e Torino), ma sembra chiudersi l’accesa battaglia giuridica sulla configurazione del reato: per la prima volta, infatti, era stato contestato l’omicidio volontario in un caso di infortunio mortale sul lavoro. Una tesi accolta dai giudici di primo grado, autori di una sentenza coraggiosa e assolutamente innovativa, ma negata da quelli di Appello, secondo i quali si è trattato “solo” di un omicidio colposo aggravato dalla colpa cosciente, sanzionato peraltro con condanne tra le più pesanti mai irrogate. E’ proprio per ridefinire il trattamento sanzionatorio che la Cassazione, confermando peraltro l’ipotesi di omicidio colposo ed escludendo l’aggravante delle omissioni dolose di cautele sugli infortuni, ha ordinato un nuovo dibattimento.
In secondo grado i giudici torinesi avevano condannato a 10 anni di reclusione l’ex amministratore delegato Harald Espehnhan (che in primo grado era stato giudicato colpevole di omicidio volontario con dolo eventuale con una pena di 16 anni e mezzo di reclusione), a 8 anni l’allora responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri, a 8 anni e mezzo il responsabile dello stabilimento Raffaele Salerno, a 7 anni ciascuno i membri del Comitato esecutivo Gerald Priegnitz e Marco Pucci e a 9 anni l’allora dirigente con funzioni di direttore e competenza negli investimenti Daniele Moroni.
I sette operai morti nel tragico rogo della Thyssen non sono quindi stati vittime di un omicidio volontario ma di un omicidio colposo aggravato dalla colpa cosciente: i dirigenti dell’acciaieria torinese operarono con una “grande sconsideratezza” scegliendo di non adeguare alle norme di sicurezza lo stabilimento destinato alla chiusura entro pochi mesi. Il verdetto della Cassazione ha accolto su questo punto le richieste del procuratore generale Carlo Destro, che nella sua requisitoria aveva difeso la sentenza d’appello.
L’impostazione della corte d’Assise d’appello di Torino, aveva rilevato il pg Carlo Destro, era “logica e congrua”.”I manager e i dirigenti chiamati a vario titolo a rispondere della morte dei sette operai facevano affidamento sulla capacità dei lavoratori di bloccare gli incendi che quasi quotidianamente si verificavano: chi agisce nella speranza di evitare un evento evidentemente, se l’evento si verifica, non può averlo voluto”. Tuttavia c’è stata una “grandissima sconsideratezza” nella gestione dello stabilimento della Thyssenkrupp di Torino dove “si è voluto continuare a produrre senza adeguate misure di sicurezza ma risparmiando quanto più possibile in vista dello smantellamento dell’impianto che sarebbe dovuto avvenire nel febbraio 2008, due mesi dopo il tragico rogo”.
Destro, per contro, aveva criticato la sentenza di primo grado che aveva affermato per l’ad Espenhahn la tesi dell’omicidio volontario con dolo eventuale: in quel verdetto, aveva sostenuto, “manca un raccordo tra le varie imputazioni”, venendo cosi in pratica incontro alla difesa dei dirigenti Thyssenkrupp, per i quali l’unico vero obbiettivo era eliminare dal processo l’omicidio volontario. L’avvocato Coppi infatti ha sostenuto in Cassazione che le pene inflitte erano eccessive e pesantissime. Ad avviso di Coppi “in realtà gli imputati non avevano previsto che sarebbe potuta accadere una cosa del genere. Piccoli incendi si innescavano tutti i giorni ma venivano facilmente controllati. La colpa vera è quella di non aver previsto tutte le eventualità che sarebbero potute accadere”.
Ora si ricomincia: ma, anche se sara’ necessario leggere il dispositivo della sentenza delle Sezioni unite della Cassazione, e’ certo che si ricomincia su una base decisamente diversa dal precedente Appello. Senza le omissioni dolose di cautele degli infortuni,con il solo omicidio colposo, e’ improbabile che questo processo torni ad essere un precedente “storico” per le vicende degli infortuni sul lavoro. Anzi, rischia di diventare un precedente ‘al ribasso’ anche per altri processi, come quello sull’Eternit che dovra’ approdare in Cassazione entro la fine dell’anno.