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“Quando”, due mondi divisi da 30 anni di sonno

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E’ l’estate del 2017. Giovanni si risveglia di improvviso intonando l’internazionale. Sono trascorsi 33 anni dall’ultima volta che aveva cantato quel “compagni, avanti il gran partito”, in una piazza San Giovanni gremita e commossa dalla morte del segretario del Pci, Enrico Berlinguer. Giovanni aveva vent’anni e tanti sogni in quella primavera del 1984, un padre comunista e una ragazza “compagna”, Flavia, con la quale immaginava un futuro. Ma la sua vita fu interrotta dal bastone di uno striscione che lo colpì alla testa, proprio durante quei funerali, facendolo cadere in un coma giudicato irreversibile.

Al risveglio Giovanni ricorda tutto, fino a quel 13 giugno ’84. Anche se sono trascorsi 33 anni da allora. Si risveglia cinquantatreenne, trovando dinanzi a sé un mondo cambiato e acquisendo presto consapevolezza di aver perso la parte centrale della sua esistenza.

Apprende pian piano quel che è accaduto in quel trentennio avvolto dal sonno, a partire dai propri lutti. Il padre Ettore è morto, la madre ormai vittima dell’Alzheimer guarda il mare dalla finestra di una casa di cura ad Anzio, la sua fidanzata Flavia ha sposato Tommaso, i suoi “compagni” non ci sono più, proprio come il suo partito. Scopre il telepass, il cellulare, le carte di credito, la moneta unica, i cibi vegani, il kebab e la caduta del muro di Berlino attraverso la sua “nuova famiglia” composta da Suor Giulia –  che, figlia di un segretario di sezione del Pci, partita da Spello, nel ’84 era anche lei in piazza ai funerali di Berlinguer – , la sorella che lo ha accudito per oltre vent’anni e che ora prova per Giovanni una strana inquietudine tra fede e corpo, dalla psicologa (destinata a diventare altro) Daniela e da suo figlio Enrico.

E’ con loro che Giovanni, tornato alla vita apprende che non esiste più il lattaio che ti chiede come stai, ma solo enormi banchi frigo di supermercati dove, ciascuno nella propria solitudine, può trovare almeno 20 tipi di latte diverso. Ma Giovanni non vive il cambiamento con sguardo nostalgico per quello che era e non è più, anzi abbraccia con entusiasmo modernità e tecnologia. In uno scambio quasi paradossale, Veltroni attribuisce al figlio della psicologa, l’adolescente Enrico, il ruolo di critico della società digitale. In un passo interessante, Enrico legge a Giovanni un estratto di un suo tema “Tutti oggi hanno fretta, tutti sembrano insieme appagati e furiosi. Si beano di questa Rete che regala l’illusione di non essere soli, ma sanno benissimo che hanno perduto ogni dimensione collettiva. Non si fa più nulla insieme. Ognuno pensa che ciò che dice o scrive sia decisivo ma sa, in cuor suo, che è inutile. Tutti soli, ma insieme. Siamo veloci ma superficiali. Siamo semplici perché le cose complicate ci spaventano. Perchè richiedono fatica, studio, esperienza, rigore. Siamo liberi di fare qualunque cosa, ma usiamo questa libertà per alimentare odi e paure. Siamo la generazione più spaventata dal futuro che esista”.

Quello che coglie Giovanni, nella sua “rinascita” è proprio il tratto distintivo del nostro tempo, una realtà per così dire “metà Disneyland e metà mattatoio”, fatta di infinite possibilità ma anche di terribili tragedie.

“Quando”, questo il titolo del nuovo lavoro di Walter Veltroni, edito da Rizzoli, è un testo che richiede attenzione perché propone almeno due livelli di lettura. Quello più immediato, più intimo, che si consuma nel racconto della storia di Giovanni, ma anche quello più storico, più politico. Al risveglio di Giovanni un borioso primario, arrivato nella struttura da poche settimane, sgomita per prendersi tutti i meriti del “miracolo”, pur non avendo mai mostrato interesse per quel “pluri-decennale sognatore”. Non sfugge qui il richiamo alla “questione morale” sollevata proprio da Berlinguer.

Senza dubbio la figura del leader politico, che aleggia in tutto il romanzo, rimarca lo spartiacque tra allora e ora, tra una politica al centro del dibattito pubblico e il contemporaneo disinteresse verso la “res publica”. Ma l’intento di Veltroni non è quello di “buttare il bambino insieme all’acqua sporca”.

Un romanzo intenso, coinvolgente, a tratti autobiografico in cui spiccano ritratti particolarmente riusciti – da Suor Giulia, al giovane Enrico – e in cui si ravvisa tutta la maturità della sua poetica, asciutta ma potente.


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