Erano tutte giovani, la maggior parte adolescenti tra i 14 e i 18 anni, le migranti arrivate senza vita a Salerno sulla nave spagnola Cantabria.
Una tragedia nella tragedia. Un’imbarcazione di salvataggio che approda in un ‘porto sicuro’ con 375 disperati e col suo carico di orrore: 26 donne morte, forse stuprate.
Gli operatori sanitari che hanno preso in consegna i corpi non hanno ancora stabilito le cause del decesso ma quasi tutte presentano segni di violenza sessuale.
Le reazioni sul web sono abominevoli. “Sempre troppo poche..”, “Si chiama selezione naturale..”, “Sinistra in lutto, persi 26 voti”.
Atrocità scritte dai soliti idioti, dispensatori di odio che usano internet per sfogare i loro istinti peggiori.
Parole che non possono lasciare indifferenti. Mai.
Secondo i dati dell’Unar l’hate speech è in continuo aumento, sia sui social network sia sulle testate online che permettono ai lettori di commentare gli articoli.
Come in questo caso, in coda a un servizio di Libero.
Certo, questi commenti non sorprendono visto che trovano spazio su giornali che in modo sistematico usano una titolazione negativa, astiosa, a cui seguano sempre interventi caratterizzati da offese e una violenza verbale inaudita.
Su questo fenomeno si è animato da tempo un dibattito, su quale sia il limite alla libertà di espressione e, per quanto riguarda i giornali, fino a che punto si possa e si debba intervenire sui titoli che istigano all’odio.
Personalmente, come tutti noi di Articolo 21, sono convinta che opporsi all’hate speech non possa essere considerata censura ma, per chi fa giornalismo, un dovere professionale.
Per far assimilare questi concetti serve una formazione in grado di ‘inculcare’ questa forma di tutela nei confronti dei più deboli, i giovani, maggiormente esposti al condizionamento di un determinato linguaggio. Ed è altrettanto necessario far passare il principio che verso gli utenti abbiamo una sorta di responsabilità di educazione sociale. Oggi, ancora una volta, ne abbiamo avuto un’amara conferma.