Continua l’escalation dello scontro nazionalista in Spagna. Le istituzioni si passano il testimone in una folle gara ad agire dissennatamente nella ricerca del punto di non ritorno. Questa volta, dopo i governi catalano e spagnolo, tocca alla giustizia spagnola agire da incendiaria, utilizzando nel peggiore dei modi possibili la delega che una politica in fuga dalle sue responsabilità le ha dato.
Ieri mattina alle otto e mezza il vicepresidente della Generalitat catalana, Oriol Junqueras, e otto consiglieri della ex giunta di governo hanno varcato la soglia della Audiencia nazional, il Tribunale nazionale che si occupa dei delitti contro lo Stato e di terrorismo, convocati dalla giudice Carmen Lamela, per uscirne solo dodici ore dopo, in stato di arresto senza possibilità di uscire su cauzione, diretti verso le carceri di Estremera e Soto del Real. La giudice contesta loro i reati di sedizione, ribellione e malversazione di fondi. Per giustificare il carcere preventivo, che in teoria può prolungarsi fino a due anni, Lamela ha previsto pene fino a cinquant’anni e evocato l’esistenza del pericolo di fuga, di reiterazione del reato e della possibilità di distruzione di prove. In carcere resteranno, oltre a Junqueras, Jordi Turul, Raúl Romeva, Josep Rull, Dolors Bassa, Meritxell Borràs, Joaquim Forn e Carles Mundó. L’ex consigliere Santi Vila, che aveva presentato le sue dimissioni prima del voto con cui il Parlament avrebbe dichiarato l’indipendenza, ha invece ottenuto la cauzione che verserà dopo aver passato la prima notte in carcere in solidarietà con i suoi colleghi. Un mandato internazionale di cattura è stato invece emesso nei confronti del presidente decaduto della Generalitat, Carles Puigdemont, e degli altri quattro altri consiglieri che con lui si trovano da alcuni giorni in Belgio.
La giustizia spagnola non agisce, però, in maniera coerente e emergono, anzi, linee di condotta decisamente divergenti. Contemporaneamente, infatti, anche il Tribunale supremo si occupava della vicenda, lanciando segnali di distensione che sembravano aprire la strada a un ritorno nell’alveo proprio della politica della questione catalana.
La presidenza del Parlament veniva infatti ascoltata per gli stessi fatti dal Supremo che, col giudice istruttore Pablo Llanera, ha agito in modo molto diverso, accogliendo la richiesta degli avvocati difensori di avere più tempo per valutare le accuse e concedendo una settimana in più per preparare la difesa. Quindi, ha consentito alla presidente Carme Forcadell e ai quattro membri della Mesa del Parlament di rientrare a Barcellona. Ma segnali importanti erano arrivati già nell’atto con cui la querela era stata ammessa, che aveva aperto a una possibile riconsiderazione del delitto di ribellione, in quella che veniva letta come una chiara apertura in senso garantista e che guarda alla civiltà europea del diritto. Come fa notare il quotidiano La Vanguardia, la firma di Manuel Marchena, presidente della Seconda sala del Supremo e figura di riferimento del settore più conservatore della magistratura spagnola, apriva alla speranza che la giustizia non avrebbe accolto il ruolo di supplente che la politica le aveva dato, offrendo appunto alla politica di rimettere mano al confronto.
Con un’applicazione del 155 tutto sommato morbida e soprattutto breve, con le elezioni convocate per il 21 dicembre, sembrava che il governo Rajoy avesse scelto la strada della distensione pur nel perseguimento della tutela della legalità costituzionale, dopo il tragico errore del tentativo di impedire con la forza il primo ottobre la celebrazione di quello che ormai non era più un referendum ma solo un’iniziativa politica simbolica di parte. E anche l’atto del Supremo, prima, e la concessione dei maggiori tempi per la difesa, dopo, sembravano andare in questa direzione. La decisione di Carmen Lamela sovverte invece le poche speranze suscitate.
Due criteri così diversi fanno pensare che ci siano due visioni del ruolo della giustizia. Due diversità pericolosamente confliggenti in quanto portano nelle più altre istituzioni dello stato il conflitto politico sin qui agito irresponsabilmente dai governi della Generalitat e di Madrid.
La scelta della data del voto aveva rimesso in moto il confronto democratico, costringendo gli attori politici a sottomettersi alla normalità del dibattito politico pubblico e a dover rendere conto delle scelte fin qui praticate. La decisione della Audiencia nacional ripiomba la Spagna davanti all’eccezione democratica, davanti alla quale la valutazione del nazionalismo come scelta politica regressiva viene offuscata dall’emergenza di una giustizia che sbatte in carcere rappresentanti del popolo regolarmente eletti. Una situazione che rischia di precipitare la Spagna nel caos, che accontenta chi cerca martiri e chi, in nome della democrazia, sul fronte catalano come su quello madrileno, ha contraddetto la democrazia e le norme poste alla sua tutela.
La decisione proietta la sua ombra su un voto che poteva essere un certamente difficile ma risolutore passaggio democratico. Un rischio di degenerazione che non sembra neanche rientrare negli interessi del governo Rajoy, che aveva anzi iniziato a agire diversamente, pur non facendo mai nessuna autocritica, evidentemente in conseguenza di una pressione ufficiosa ma stringente da parte dell’Ue. Ma evidenzia anche come nella stessa giustizia spagnola esistano ormai due “partiti”; uno rappresentato dall’azione del Tribunale supremo e l’altro dalla Procura generale dello Stato guidata da José Manuel Maza.